sabato, 15 Novembre 2025
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HomeViaggi e TurismoSunny Around the WorldDa Medan a Bukitiniggi: quando neanche 28h di bus riescono a portarci via l’entusiasmo

Da Medan a Bukitiniggi: quando neanche 28h di bus riescono a portarci via l’entusiasmo

In viaggio con Solepartout, il mondo filtrato da me.
Episodio 3 - parte 2

Quando viaggi in luoghi come l’Indonesia, la chiave è una sola: sapersi adattare. Quel piccolo bus malandato prometteva di portarci a destinazione, e noi non potevamo fare altro che fidarci. A ripensarci, forse viaggiare solo in due ci avrebbe permesso di arrivare prima, evitando le continue soste lungo la strada. Ma proprio quando ci convinciamo ad accettare il nostro destino, ci rendiamo conto che non saremmo stati gli unici passeggeri a bordo.

Col passare dei minuti, nuovi volti, bagagli e sorprese si accumulano sul ciglio della strada. Alla fine, scopriamo che avremmo condiviso quel traballante camioncino con un uomo, una donna e un bambino, accompagnato dalla sua inseparabile bicicletta. Nessuno parlava inglese. E solo in quel momento, sotto quel caldo umido e opprimente, inizio davvero a sudare freddo.

Non mi fidavo di quelle persone che avrebbero effettivamente potuto portarci ovunque, insomma, non avevamo alcuna certezza che quel camioncino malconcio sarebbe arrivato a destinazione. Ci attiviamo così per trovare un’alternativa.

Si fanno le otto di sera e finalmente troviamo un grande bus che apparentemente ha come destinazione finale Bukittiniggi. Decidiamo dunque di abbandonare il piccolo bus malconcio e, dopo aver dato la mancia a vari ragazzi che ci avevano aiutato nella ricerca, ci imbarchiamo su quello più grande. Il bus è vuoto. Si ferma varie volte e non capiamo perché. Poi scorgiamo ragazzi che si arrampicano sul tetto per depositarvi bagagli e pacchi. Alla fine parte e noi possiamo finalmente rilassarci e provare a dormire.

Sono le sei del mattino quando il nostro bus entra in una stazionamento e si ferma. Non siamo nemmeno a metà del cammino per arrivare a Bukitiniggi. Le poche persone che sono a bordo scendono e vanno a mangiare nell’unico warung della zona. Scendiamo anche noi. Io non mangio, non ho fame. Voglio solo che quella pausa duri il meno possibile e che il bus riprenda il suo percorso. Ma dopo circa trenta minuti ci viene annunciato che dobbiamo cambiare bus, perché il nostro sarebbe tornato indietro. Ancora una volta confidiamo in quello che ci viene detto tra gesti e Google traduttore e ci dirigiamo verso il nuovo bus indicato. Sempre grosso, ma più affollato e più vecchiotto. Ci sono piccoli scarafaggi che gironzolano tra i sedili ed un odore forte ci inonda le narici.

Quattro mezzi diversi ed una sola destinazione

Ricomincia il nostro viaggio tra le curve e le stradine strette. Dopo poco si ferma: altra pausa ristoro. Poi riprende il cammino e si ferma dopo un’oretta. Ma quella seconda pausa si rileva molto più lunga del previsto. C’è un problema al motore, il bus non riesce a ripartire. Sono le 13, siamo già parecchio stanchi, davanti a noi ancora tante ore di viaggio e un mezzo di trasporto rotto. Il capitano non perde mai la speranza, lui e altri 5 ragazzi si aggirano attorno al motore, si sporcano le mani, smontano tutto, poi rimontano. Io ogni tanto gli passo accanto e gli faccio un cenno, lui mi dice qualcosa in indonesiano, mi dà la mano e ci sorridiamo. Mi rendo conto di essere diventata la mascotte del gruppo. Intanto si ferma un taxi e ci propone di portarci a destinazione. Qualche minuto per negoziare una somma e alla fine decidiamo di imbarcarci, con in testa un ennesimo nuovo punto interrogativo: arriveremo mai? Dopo qualche metro, ci chiedono i soldi e capiamo che c’è stato un fraintendimento, ci hanno chiesto il triplo di quello che avevamo capito. Così ci riportano indietro e ritorniamo alla base, come due cani bastonati con la coda fra le zampe.

La situazione intanto non è cambiata. Non ci sono sviluppi, il bus è in panne e gli sforzi comuni sembrano non portare a nulla. Finché, dopo circa 3 ore, il capitano rimonta per l’ennesima volta i pezzi del motore, gira la chiave e…si! Funziona! Il bus si riaccende e così anche l’umore di tutti: la fine di quel viaggio sembra sempre più vicina!

Facciamo altre due, tre tappe in diversi villaggi. In uno di questi chiedo a due ragazze, gentilissime, di poter usare il bagno di casa loro. Mi accompagnano dietro una tendina, dove c’è un buco nel suolo, e azionando un ingegnoso meccanismo di fontanelle l’acqua inizia a scorrere verso quest’ultimo.

Tutti ci osservano, si fermano, ci guardano incuriositi. Il capitano orgoglioso ci mostra come un trofeo, parla di noi agli amici che si avvicinano. E dentro di me sento che si è creato un legame fatto di sguardi, sorrisi e gesti: un linguaggio silenzioso, ma universale.

Arriviamo a Bukitiniggi verso le 21 di sera, mangiamo in un warung un riso veloce e saltiamo su un taxi verso la nostra Homestay, sconvolti da quel viaggio durato più di un giorno.

La forza silenziosa della pazienza condivisa

La forza silenziosa della pazienza condivisaLa nostra pazienza è stata duramente messa alla prova. Eppure mi sono scoperta molto più resiliente di quello che credessi, ma non per merito mio, direi piuttosto grazie a chi mi era attorno.

Allora ho capito una cosa: quante volte ci siamo trovati in situazioni simili? Un bus fermo, la metro che non arriva, un servizio che non funziona. Eventi fuori dal nostro controllo, che bloccano la routine di tutti e che non possiamo risolvere in alcun modo se non aspettando. In quei momenti io ti invito ad osservare chi è attorno a te. Se le persone inizieranno a protestare, a gridare, ad alberarsi, inevitabilmente sarai portato a fare lo stesso. Ti sentirai appesantito, irritato, insofferente. Ma ti assicuro che qualcosa cambierà se sarai accerchiato da persone pazienti, che accettano la situazione e lo stato delle cose senza farsi travolgere dall’ansia e anzi rispondono con calma, gentilezza e perfino sorrisi. Persone che reagiscono in modo costruttivo, che mettono a disposizione le loro conoscenze e le loro mani per aiutare. Allora anche tu cambierai atteggiamento.

Quella giornata passata in viaggio, con le sue attese interminabili mi ha insegnato molto più di quello che avrei potuto imparare prendendo un comodo volo di un’ora nel comfort di un aereo. I volti stanchi ma sereni dei miei compagni di viaggio mi hanno mostrato la forza silenziosa della pazienza condivisa. Loro mi hanno spinta a reagire allo stesso modo: senza fretta, con cautela e fiducia.

E non è forse questa l’essenza del viaggiare? Imparare dagli altri, vivere la loro normalità, sapersi adattare e accogliere ciò che l’imprevisto ha da insegnarti.

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Solepartout
Solepartout è lo pseudonimo di Francesca, una giovane viaggiatrice e narratrice che ha fatto della curiosità il motore della sua vita. Laureata in lingue e scienze politiche e appassionata di culture, ha viaggiato da sola in Europa e in Asia, spinta dal desiderio profondo di comprendere l’essenza della realtà circostante. Il suo progetto nasce da un bisogno autentico: trasformare la ricerca interiore in racconto. Attraverso parole e immagini, in collaborazione con il fotografo Bartolo Mercadante, Solepartout accompagna chi legge in luoghi remoti e storie intime, con l’intento di stimolare domande, generare confronto e, magari, ispirare piccoli cambiamenti. Perché ogni storia che incontriamo, se ascoltata davvero, può trasformare anche la nostra.

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