Luoghi, attività, idee, persone e volontariato che ogni giorno offrono il loro contributo alla società, allo sviluppo della comunità, alla lotta al degrado e tendono una mano alle persone in difficoltà. Sono numerose realtà, di cui si parla poco o nulla, ma che in silenzio lavorano, combattono contro le difficoltà e la burocrazia, ma poi trovano il consenso del territorio e tutto questo serve da stimolo per andare avanti e provare nuove sfide, raggiungere altri obiettivi.
Una conferma arriva dall’Associazione Dream Team – Donne in rete, un vero e proprio faro di accoglienza e di contributo allo sviluppo sociale nel quartiere Scampia alla periferia settentrionale di Napoli. Con volontà, coraggio e dedizione le “donne in rete” che costituiscono l’associazione da circa 16 anni portano avanti progetti e iniziative, ma soprattutto l’incontro e l’ascolto per le donne che spesso hanno paura di denunciare violenze.
Purtroppo l’ultimo ed ennesimo episodio avvenuto in un quartiere di Milano con la morte della 29enne Pamela Genini uccisa in casa dal suo ex, scuote ancora una volta l’intero paese e tutti ci chiediamo “perché?”; e allora non bisogna fermarsi, ma parlarne, informare aiutare. Dream Team nel corso degli anni ha rivolto il suo sguardo anche ad altre categorie sociali ed in particolare a giovani e adolescenti che in un deserto di difficoltà non riescono a vedere la strada giusta. Appena entriamo sul loro sito ufficiale salta subito all’occhio la frase “dalle donne la forza delle donne”, così come lo scopo che viene ribadito sotto il nome dell’associazione “per la Ri-Vitalizzazione urbana”. Con il nostro magazine abbiamo incontrato e intervistato la vicepresidente e psicologa di Dream Team – Donne in rete, Sara Di Somma.
Come è nata questa idea e come intende svilupparsi in futuro?
L’associazione nasce nel 2009 con l’intento di dare voce alle donne del territorio di Scampia: in quel periodo l’attenzione mediatica sul quartiere era molto elevata; da un lato la grande opera di contrasto della criminalità ad opera delle istituzioni, dall’altro un movimento dal basso, che ha visto diventare protagonisti i cittadini attivi del quartiere, riuniti in associazioni e gruppi di volontari, per trasformare la realtà circostante, investendo sulle potenzialità del territorio. E’ in questa cornice che nasce l’idea di un’associazione per le donne: nonostante il grande fermento, infatti, sembrava che le donne fossero sempre un po’ a margine delle progettualità nascenti, prevalentemente incentrate sulla tutela dell’infanzia e sullo sviluppo economico ed ambientale del territorio. Relegate nel ruolo materno, delegate al soddisfacimento dei bisogni primari delle famiglie, molte donne portavano il loro carico in silenzio, spesso sofferenti, senza riconoscimenti sociali, stima di sé e possibilità di crescita personale. La nostra prima azione operativa è stata l’apertura di uno sportello gratuito di orientamento ed ascolto rivolto alle donne. Lì abbiamo incontrato per la prima volta la violenza domestica, sommersa, celata tra le mura di casa, difficile da affrontare ma molto più comune di quanto ci aspettassimo. Per molti anni abbiamo prestato supporto a titolo gratuito, grazie anche ai legami con le istituzioni del territorio, finché siamo diventate centro antiviolenza accreditato per l’intero territorio regionale nel 2020. Attualmente siamo uno dei sei centri antiviolenza della città di Napoli, che si occupa dell’utenza della settima ed ottava municipalità cittadine. Nel nostro futuro c’è sicuramente l’intento di proseguire lungo questa strada, tenendo ben presente che il fenomeno della violenza maschile sulle donne ha radici storico culturali e sociali che richiedono interventi di supporto e assistenza rivolti alle donne, ma soprattutto azioni di prevenzione primaria, come l’educazione all’affettività e al rispetto.
La donna è protagonista sia per le professionalità presenti nell’associazione sia per coloro che vengono accolte ed ascoltate per piccoli e grandi drammi familiari. La violenza domestica rimane uno dei principali problemi di oggi?
Forse non la violenza domestica così come siamo abituati a pensarla e descriverla: lo schiaffo, l’aggressione fisica, la gelosia ossessiva. Soprattutto nelle fasce più giovani, dai 20 anni in su, queste modalità rappresentano campanelli d’allarme riconoscibili, di fronte ai quali si può reagire tutelandosi anche legalmente. Tuttavia, il discorso cambia se pensiamo alle diverse forme che può assumere la violenza in ambito domestico: la violenza psicologica, la violenza economica sono le condizioni che spesso diventa più faticoso riconoscere e denunciare.
Le storie di femminicidi e di mancate denunce sono ancora tante così come è grande l’impegno di realtà come la vostra. Lei in qualità di psicologa che bilancio può fare sulle storie ascoltate fino ad oggi? C’è ancora troppa paura a denunciare? Cosa serve per dare alla donna il giusto coraggio?
Sicuramente negli ultimi anni si sono fatti dei passi avanti rispetto al passato: oggi si può parlare apertamente di violenza e maltrattamenti. La violenza subita in ambito domestico non è soltanto un “fatto privato” ma è riconosciuta nella sua forma di fenomeno socioculturale. Per questo il numero delle denunce è aumentato drasticamente. Bisogna ricordare che i centri antiviolenza accolgono la richiesta d’aiuto, ciò significa che una donna in situazione di difficoltà può richiedere uno spazio di ascolto anche in assenza di denuncia. Lo scopo del nostro lavoro è supportare nel percorso di fuoriuscita dalla violenza e non sempre la prima tappa coincide con l’ingresso in un presidio delle forze dell’ordine. Ogni percorso è diverso, a volte si ha dapprima bisogno di capire cosa è accaduto, cosa sta accadendo nella propria vita. Una delle più grandi difficoltà che le donne raccontano nasce proprio dal senso di vergogna e dalla stanchezza che provano ogni volta che devono descrivere la violenza subita a quanti intervengono prima o dopo essersi rivolte al centro. Inoltre, la paura di denunciare è strettamente collegata alla paura di non essere sufficientemente tutelate: molte descrivono di essere seguite una volta uscite di casa oppure di essere controllate o minacciate attraverso i social network. Temono di dover essere loro a nascondersi per evitare ritorsioni di vario genere.
Ci può raccontare, anche in maniera anonima una storia che l’ha colpita particolarmente?
Una storia in particolare no, ma mi colpiscono molto – e sono diversi i casi di questo tipo che abbiamo incontrato nell’ultimo anno – le donne che denunciano, rompendo matrimoni anche ventennali, non soltanto per se stesse ma per le proprie figlie. Perché spinte dai loro sguardi e dal desiderio di offrire un diverso modello femminile.
Ci può dare anche un esempio di soddisfazione oppure un obiettivo raggiunto in questo percorso pieno di sfide?
Siamo molto fiere di un progetto che è alla sua seconda edizione. Si chiama “Obiettivo Lavoro” e ha lo scopo di supportare alcune utenti del nostro centro antiviolenza nel reinserimento lavorativo, attraverso l’attivazione di tirocini formativi retribuiti. Un’esperienza, quella lavorativa, che diventa per le donne coinvolte non soltanto un supporto economico stabile, ma soprattutto possibilità reale di reinserimento, dignità e ricostruzione dell’autostima.
L’Associazione opera con coraggio e impegno in un quartiere difficile come Scampia. E’ faticoso il suo lavoro? Qual è l’approccio con le persone?
Vorremmo poter dire di no, ma non sarebbe realistico. Certo che è faticoso e non soltanto perché siamo in un contesto di periferia. Siamo un presidio di accoglienza, chi arriva da noi è in stato di fragilità psicologica, spesso anche economica: il nostro approccio – sembrerà banale – ma è l’ascolto rispettoso. Dare valore al dolore di chi varca la nostra porta, accogliere ogni storia come un dono prezioso e affiancare le donne nella ricerca degli strumenti per poter ritrovare fiducia e potere sulla propria vita. E’ faticoso perché mette a contatto con la sofferenza, perché a volte ci sentiamo impotenti di fronte alle situazioni che si presentano. Il lavoro d’equipe e di supervisione dei casi rappresentano sicuramente una grande risorsa, sono gli spazi in cui confrontarsi e riflettere sulle storie più complesse e a rischio che, spesso, sono anche quelle emotivamente più impegnative.


Dream Team – Donne in rete è soprattutto il sogno di una squadra di cambiare le cose. Siete impegnati in vari settori come volontariato, scuola, cultura, ambiente. Questo significa contribuire anche allo sviluppo sociale ed aprire orizzonti per tanti ragazzi o ragazze disorientate?
Le attività di prevenzione primaria sono centrali nel nostro lavoro. Oltre a collaborare con le scuole nei progetti di educazione affettiva e contrasto agli stereotipi di genere e alle diverse forme di violenza, offriamo spazi di ascolto e crescita rivolti ad adolescenti. Ne è un esempio la squadra di calcio femminile Dream Team Arci Scampia, un progetto che portiamo avanti da diversi anni, in parte sostenuto dall’Otto per mille della chiesa valdese, che utilizza il calcio come strumento sia di contrasto a stereotipi e discriminazioni di genere sia di inclusione sociale per costruire alternative possibili. Terreno di scoperta, sperimentazione e crescita.
Quali sono le vostre principali iniziative sul territorio?
La territorialità è il valore aggiunto del nostro lavoro: ci dà la possibilità di cogliere l’identità e la vocazione del territorio socialmente inteso e di essere parte di una comunità educante, che progetta e costruisce in rete. Prima ancora di diventare un centro antiviolenza, siamo state promotrici di attività di valorizzazione del territorio e cittadinanza attiva. I nostri progetti di empowerment femminile vanno dalla realizzazione di un laboratorio di yoga, ormai consolidato da diversi anni, alla formazione delle donne. Di recente abbiamo concluso un corso in panificazione e lievitati, grazie al finanziamento della Fondazione Una Nessuna Centomila e alla collaborazione con l’Istituto alberghiero Vittorio Veneto di Scampia.
Inoltre, siamo impegnate sul fronte della promozione della legalità, infatti la nostra sede è presidio territoriale di Libera Scampia dedicato ad Antonio Landieri, vittima innocente della criminalità organizzata. Infine, ci prendiamo cura del nostro territorio: il progetto Pangea, che condividiamo con un’ampia rete di associazioni del quartiere, ci ha visto protagoniste nella riqualificazione di un’area urbana in Largo Battaglia a Scampia. Laddove insisteva un simbolo di degrado ora è l’aiuola dei cinque continenti e della non violenza. Ciascun attore della rete si prende cura di una parte del giardino: la nostra aiuola è dedicata al continente Asia e ospita l’installazione della sedia del posto occupato, in memoria di tutte le vittime di femminicidio.
Le istituzioni sono presenti?
Ad oggi possiamo dire di sì, nel tempo abbiamo costruito relazioni significative con il territorio, legami che hanno garantito una maggiore efficienza dei nostri servizi. Le istituzioni locali sono molto presenti: con la municipalità 8 abbiamo un protocollo d’intesa per condividere strategie ed azioni per il contrasto alla violenza di genere, le forze dell’ordine sono di grande supporto, le scuole fanno parte da sempre della nostra rete.
Inoltre, in questi giorni saremo parte della fondazione di un tavolo permanente promosso dall’assessorato alle pari opportunità del comune di Napoli: non soltanto i centri antiviolenza ma tutte le istituzioni che a vario titolo si occupano di contrasto alla violenza di genere si ritroveranno allo stesso tavolo allo scopo di sviluppare, ciascuno secondo le proprie specificità, attività congrue ai bisogni rilevati sui differenti aspetti di intervento rispetto al fenomeno.
Qual è il sogno più importante oppure che futuro sogna l’associazione Dream Team – Donne in rete?
In parte il sogno si è già realizzato, la costruzione di un presidio per le donne del territorio che ormai è un punto di riferimento ma anche di una squadra solida, un gruppo che condivide intenti e valori e su questi fonda lavoro e formazione. Speriamo che il futuro porti una maggiore stabilità, per il centro e per l’equipe. Attualmente il nostro lavoro è legato a progettualità e bandi e non sempre viene garantita la continuità di alcuni dei servizi offerti.
In conclusione, in qualità di psicologa, ci può dare una sua opinione e considerazione sulla società di oggi? Dopo la pandemia le relazioni umane sono cambiate profondamente ed assistiamo ogni giorno ad episodi di aggressività, violenza ed egoismo. Cosa sta accadendo e di cosa c’è bisogno nei rapporti umani familiari e di coppia?
Credo che la pandemia abbia lasciato cicatrici profonde nella nostra società: da un punto di vista sociale e relazionale si assiste ad un aumento della solitudine e dell’isolamento e alla tendenza a reagire con chiusura o aggressività dinanzi alle frustrazioni. Forse quello di cui abbiamo bisogno è ascoltare e ascoltarsi. Riconoscere e curare le proprie ferite interiori, entrare in contatto con le parti emotive, proprie e degli altri, e accoglierle senza giudizio. Oggi più che mai bisogna occuparsi dell’educazione emotiva, a partire dalle scuole fino ai contesti familiari, per imparare a stare meglio con se stessi e con gli altri. Solo così potremo contrastare la cultura della violenza.
Per tutte le info sul centro e Associazione Dream Team – Donne in rete :
https://www.associazionedreamteam.eu/














