Oggi intervistiamo l’artista caprese Sonia Vinaccia, la cui ricerca ruota intorno a temi universali e profondamente umani: la gentilezza, la natura, la resilienza. Il suo percorso inizia all’Istituto d’Arte di Sorrento, dove si diploma come Maestro d’Arte con specializzazione nel settore stampa. Già durante gli anni della formazione si distingue per la sua visione sensibile e rigorosa, ottenendo una prestigiosa borsa di studio che le apre le prime porte del mondo artistico.
Nel tempo, il suo lavoro si è affermato attraverso premi, riconoscimenti e partecipazioni a esposizioni in Italia e all’estero, confermando la solidità tecnica della sua produzione e la forza poetica del suo messaggio. La pittura e la scultura diventano per lei strumenti per raccontare non solo ciò che si vede, ma ciò che si sente: emozioni trattenute, memorie intime, atti di resistenza silenziosa.
Le sue opere sono attraversate da un’estetica delicata, ma mai superficiale, dove la forma è sempre al servizio del significato. In questa intervista, Sonia Vinaccia ci accompagna dentro il suo universo creativo, svelando con autenticità il senso profondo del suo fare arte.
Sonia, quando hai scoperto che l’arte avrebbe ricoperto un ruolo principale nella tua vita e come ti ci sei avvicinata ?
Non c’è stato un momento preciso, ma un bisogno che è cresciuto piano, come una pianta che mette radici. Fin da piccola sentivo le cose in modo intenso: la natura, gli animali, le persone. Ma non sempre trovavo le parole per esprimere tutto questo. Così ho iniziato a usare le mani. A disegnare, modellare, costruire piccoli mondi in cui sentirmi al sicuro. L’arte è diventata la mia voce, il mio modo di abitare le emozioni senza farmi travolgere. L’arte mi ha scelta.
Sonia, se ti chiedessi di raccontarti senza parlare subito di arte… da dove partiresti?
Forse partirei da un gesto. Un gesto semplice, come tenere la mano a qualcuno che sta attraversando un momento difficile. Ecco, io sono quella persona che si ferma. Che ascolta. Che guarda negli occhi. E questo, in fondo, è anche il cuore della mia arte. Prima di ogni tecnica, c’è il desiderio di comprendere l’altro, di raccontare la parte più fragile e luminosa degli esseri viventi.
Il tuo progetto principale è incentrato sulla gentilezza. Come la rappresenti?
La rappresento spesso attraverso gli animali: creature che parlano senza parole, che si muovono in equilibrio tra loro. Viviamo in un mondo che premia la durezza, l’egoismo, la velocità. La gentilezza è silenziosa, ma ha una forza immensa. È vedere davvero l’altro. È prendersi cura. E io voglio che le mie opere facciano questo: si prendano cura di chi le guarda. Anche solo per un attimo. L’arte non deve sempre gridare. A volte, un sussurro può arrivare più in profondità.
Quindi l’arte, per te, nasce da un ascolto?
Sempre. Non potrei creare nulla se non sentissi davvero. Le mie opere nascono da domande che mi porto dentro: Cosa accade dentro una persona quando sta male? Cosa la spinge, nonostante tutto, a rialzarsi? Io lavoro con la speranza. La dipingo, la scolpisco, la cerco. E da questo, é nato il mio nuovo progetto: Gli invisibili. È il mio modo per dire che sì, anche quando cadiamo, possiamo sempre tornare alla luce.
Come scegli cosa rappresentare nelle tue opere?
Non scelgo, ascolto. Mi lascio toccare da una storia, da uno sguardo, da un dolore condiviso. Poi cerco la forma. Che sia un animale o un volto che guarda verso l’alto… voglio che ci sia dentro una tensione verso il “possibile”, anche quando tutto sembra perduto. La speranza è lì. Sempre.
Qual è il tuo desiderio più grande, come artista?
Che chi guarda una mia opera si senta visto. Che si senta meno solo. Non mi interessa stupire, mi interessa toccare. E se anche una sola persona, davanti a un mio quadro o una mia scultura, si sentirà accolta… allora avrò fatto la cosa giusta.
E come donna, prima ancora che artista?
Continuare a credere nella bellezza delle piccole cose. Continuare a scegliere la gentilezza, anche quando sembra inutile. Continuare ad amare, anche quando fa paura.E continuare a creare. Perché per me creare è vivere.