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Maradona, quando un dio scese in un campo di calcio

L’incanto di un gesto tecnico che diventava poesia, perché Maradona non si limitava a giocare bene, Diego incantava. E lo faceva con una naturalezza che non lasciava spazio a repliche. La palla, per lui, non era un oggetto da controllare, ma una complice, un’estensione del proprio corpo, un’amante fedele che gli girava intorno come ipnotizzata. Bastava vederlo stoppare un pallone per capire che si stava assistendo a qualcosa che sfuggiva al dominio dell’ordinario.

Talento, certo ma anche visione e istinto. Il genio, da solo, non basta. E Maradona non era solo genio: era visione periferica, intelligenza calcistica fuori scala, istinto primordiale di sopravvivenza sportiva. Conosceva il campo come un poeta conosce la metrica e rispettava  il pallone per il gusto di piegarlo al proprio volere. Anticipava gli avversari come se avesse il dono della preveggenza, come se il cervello vedesse l’azione intera ancor prima che gli altri la immaginassero.

Chi lo ha tifato sa che l’appartenenza a Maradona non è mai stata solo sportiva. Era quasi mistica. Napoli lo ha adorato non perché vinceva, ma perché ci faceva sognare. E quando sogni con qualcuno, quel qualcuno diventa parte della tua identità. Maradona ha dato dignità e orgoglio a un’intera città, in un’epoca in cui il Sud Italia aveva ben pochi strumenti di rivalsa. Non è un caso che il suo murales ai Quartieri Spagnoli sia oggi un luogo di culto, più che una semplice opera d’arte urbana.

Quando è arrivato a Napoli nel 1984, nessuno poteva davvero immaginare quello che sarebbe successo. Non parlo solo dei due scudetti, della Coppa Italia o della leggendaria Coppa UEFA del 1989. Parlo del cambio di percezione. Prima di lui, Napoli era “quella simpatica squadra del Sud”. Con lui, divenne un regno. E Diego, senza troppa retorica, ne fu il Re. Ma un re diverso, un re che si mischiava al popolo, che parlava il dialetto della strada, che urlava contro il potere, non solo calcistico, del Nord senza paura.

Se esiste una manifestazione concreta della sua divinità calcistica, è il Mondiale del 1986. Un torneo interamente dominato da lui. La “Mano de Dios” fu provocazione, genio e rivalsa politica. Il gol del secolo, contro l’Inghilterra, fu invece pura arte in movimento. Un assolo da dieci secondi, 60 metri di campo, cinque giocatori saltati, un portiere annientato e un popolo intero in estasi. Una rete che è entrata nei libri, ma prima ancora nei cuori.

Diego non era uno che si lamentava. Prendeva calci che oggi varrebbero sei giornate di squalifica e non cadeva e se cadeva, si rialzava. E se rideva, lo faceva per disarmare chi lo stava provando a fermare. Gli arbitri lo rispettavano, non per il nome, ma per la condotta. Era raro vedere Maradona perdere la testa, reagire, cercare lo scontro. Era, sorprendentemente, un pacificatore nel cuore della tempesta.

E poi c’era l’altro Diego, quello che faceva notizia per i motivi sbagliati. Quello fragile, autodistruttivo, incapace di gestire la fama e la pressione. Un uomo fatto di eccessi, errori e cadute. Ma anche lì, nel buio, restava incredibilmente umano. Non chiedeva scuse, non cercava giustificazioni. Era così, e non ha mai fatto finta di essere qualcun altro.

Maradona non è mai stato solo un numero 10. È stato mito, allegoria, carne e leggenda insieme. Come Prometeo, ha rubato agli Dei qualcosa che non spettava ai mortali: la possibilità di trasformare il calcio in meraviglia. E ce l’ha donata, a costo della propria serenità. Perché, diciamocelo, nessuno ha mai fatto l’amore con la palla come lui.

Maradona non se n’è mai andato davvero. Vive nei racconti, nei video che ancora ci commuovono, nei tatuaggi, nelle canzoni, negli occhi lucidi di chi lo nomina. Il campo era il suo tempio. Ogni volta che un bambino dribbla su un marciapiede o segna a piedi scalzi in un cortile, Diego è lì. Sempre lì. Perché, alla fine, Maradona era esattamente quello: un dio sceso in terra per insegnarci che, con un pallone tra i piedi, si può sfidare anche l’eternità.

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Carlo Di Somma
Carlo Di Sommahttps://www.digipackline.it/
Nato a Napoli, sono un copywriter ed un professionista SEO curioso e creativo. Con la passione per l’innovazione digitale. Trasformo le sfide in opportunità grazie a strategie efficaci e soluzioni innovative. Sono alla costante ricerca di nuove conoscenze e mi considero un "eterno studente".

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