C’è qualcosa di profondamente affascinante nell’idea che le onde del mare, quel moto incessante che accompagna da sempre l’umanità, possano trasformarsi in una fonte stabile e rinnovabile di energia. È un concetto che unisce scienza e visione, tecnologia e poesia: catturare la potenza del mare per restituirla sotto forma di elettricità pulita.
Non è fantascienza, ma un obiettivo concreto che in Italia si sta già realizzando grazie a Seapower scrl e all’Università Federico II di Napoli, protagoniste del progetto di ricerca PIVOT-Offshore. Un’iniziativa che non si limita a migliorare ciò che già esiste, ma ridisegna i confini della produzione energetica marina.
Il mare racchiude un potenziale energetico immenso. Secondo gli studi più recenti, l’energia teoricamente disponibile dal moto ondoso varia tra 16.000 e 30.000 terawattora (TWh) all’anno. Per dare un’idea, il fabbisogno energetico mondiale del 2024 è stato di circa 131.400 TWh, di cui l’86% coperto ancora da fonti fossili.
Numeri che parlano da soli: se anche solo una minima parte di questa energia fosse convertita in elettricità, potremmo ridurre drasticamente le emissioni di CO₂ e contribuire in modo significativo alla decarbonizzazione globale. Tuttavia, sfruttare l’energia del mare non è semplice. Le onde sono variabili, le condizioni marine imprevedibili, le strutture sottoposte a stress continui. È qui che entra in gioco l’innovazione tecnologica.

Come spiega Domenico Coiro, Presidente di Seapower e docente alla Federico II, “l’obiettivo di PIVOT-Offshore è ampliare le potenzialità del sistema a siti offshore, incrementando l’efficienza energetica e riducendo al minimo l’impatto sul paesaggio e sugli ecosistemi marini”.
Il principio è semplice nella teoria, complesso nella pratica. Il WEC (Wave Energy Converter) PIVOT-Offshore è composto da due corpi principali:
- una piattaforma galleggiante ancorata al fondale tramite cavi in tensione (tensioned moorings),
- e una boa oscillante, ottimizzata dal punto di vista idrodinamico per catturare al meglio il movimento delle onde.
Quando la boa si muove, trasforma l’energia meccanica del moto ondoso in energia elettrica attraverso un sistema di Power Take-Off (PTO). Il cuore del processo è la catena cinematica, che trasferisce il movimento della boa al generatore.
La vera innovazione, però, è rappresentata dal raddrizzatore meccanico, un dispositivo che converte il moto alternato della boa, avanti e indietro, in un moto rotatorio unidirezionale. In questo modo il generatore può funzionare in modo continuo e stabile, migliorando l’efficienza e riducendo l’usura meccanica. È un passaggio tecnico chiave, che segna la differenza tra un prototipo sperimentale e un sistema realmente produttivo.
Il progetto prevede due fasi principali.
La prima, condotta in laboratorio, si concentra su test mirati alla validazione del comportamento meccanico del sistema di conversione. Utilizzando un banco di prova che simula l’azione delle onde, i ricercatori analizzano la risposta dinamica della catena cinematica e del raddrizzatore meccanico.
La seconda fase prevede prove in vasca su un modello in scala completa, comprendente la piattaforma, la boa e il sistema di ancoraggio. I test, condotti presso i laboratori della Federico II, permettono di verificare la stabilità idrodinamica, la resistenza strutturale e l’efficienza di conversione in ambiente controllato, prima della futura installazione in mare aperto.
Parallelamente ai test fisici, Seapower sta sviluppando un modello numerico avanzato del dispositivo, un vero e proprio “gemello digitale” che riproduce il comportamento del WEC in diverse condizioni marine.
Questo codice di calcolo consente di ottimizzare le prestazioni e di elaborare strategie di controllo adattativo, in grado di modificare automaticamente i parametri operativi, quali il carico elettrico o la resistenza meccanica, in funzione dello stato del mare.
Il risultato? Un sistema intelligente che non si limita a reagire, ma interpreta il mare, adattandosi per massimizzare la produzione e garantire sicurezza e affidabilità.
Spesso pensiamo che l’innovazione energetica sia appannaggio dei Paesi del Nord Europa ma, questa volta e non solo questa, la leadership parla italiano. Seapower scrl, centro di ricerca pubblico-privato con sede a Napoli, è da oltre trent’anni un punto di riferimento nella progettazione di soluzioni per le energie rinnovabili. Le sue competenze spaziano dall’ingegneria aerospaziale alla meccanica, dal navale all’elettrico.
Grazie alla sinergia con l’Università Federico II, Seapower dispone di infrastrutture d’avanguardia — come la vasca navale e la galleria del vento — che consentono di testare prototipi in condizioni controllate, accelerando il percorso verso la maturità tecnologica del sistema.
L’energia dal moto ondoso non è solo una risorsa inesplorata: è una opportunità strategica per diversificare il mix energetico, ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e rafforzare la sicurezza energetica nazionale.
Un sistema come PIVOT-Offshore può integrarsi perfettamente con altre fonti rinnovabili, come l’eolico galleggiante o il solare offshore, aprendo la strada a reti ibride marine capaci di fornire energia costante e pulita. E, non da ultimo, può garantire autonomia energetica alle comunità costiere e insulari, spesso isolate dalle grandi infrastrutture terrestri.
Innovare, in fondo, significa osservare la realtà da un punto di vista diverso. E il mare, da confine naturale che era, sta diventando oggi una nuova frontiera energetica.
Con PIVOT-Offshore, l’Italia non solo dimostra di saper fare ricerca di alto livello, ma di poter guidare concretamente la transizione verso un modello energetico più sostenibile.
Forse, tra qualche anno, diremo che la rivoluzione verde è partita da una boa, sospinta dal vento del Golfo di Napoli, capace di trasformare la forza delle onde in una speranza per un futuro più sostenibile.









