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HomeAmbienteQuando il "verde" non è più sinonimo di salute

Quando il “verde” non è più sinonimo di salute

C’è qualcosa di profondamente inquietante nella narrazione sulla Terra dei Fuochi in provincia di Napoli: non si tratta solo di un problema ambientale ma di un cortocircuito percettivo. In un luogo dove il verde dovrebbe evocare natura, quiete, salubrità, si cela invece una minaccia subdola e persistente. Campi coltivati, filari di alberi, persino aree protette... tutto appare intatto, ma sotto quella facciata si consuma un lento avvelenamento.

A svelare la preoccupante verità è il muschio, una pianta umile e spesso trascurata. Un recente studio condotto dalla università Federico II di Napoli e dallo Sbarro Health Research Organization ha dimostrato, senza giri di parole, che nemmeno le aree apparentemente incontaminate della Campania possono dirsi al sicuro. E lo ha fatto, come al solito, con metodo, rigore ed una semplicità spiazzante.

Per monitorare l’inquinamento atmosferico, i ricercatori hanno impiegato lo Scorpiurum circinatum, un muschio in grado di accumulare metalli pesanti presenti nell’aria. I campioni, custoditi nei cosiddetti “moss bags” (strumenti di biomonitoraggio usati per valutare la qualità dell’aria e dell’acqua), sono stati posizionati in sei punti diversi della regione Campania: dalla Reggia di Carditello — un’oasi verde di valore storico e paesaggistico — a Giugliano in Campania, simbolo dello smaltimento illecito di rifiuti. Come punto di confronto, è stato scelto il Monte Faito, una zona montuosa priva di fonti note di contaminazione.

Dopo 21, 42 e 63 giorni di esposizione, i risultati parlano chiaro: arsenico, piombo, rame, mercurio, cadmio… tutti presenti in quantità tali da provocare stress ossidativo e alterazioni cellulari nei muschi esposti. E non serve essere biologi per capirne la gravità: se una pianta sviluppa reazioni biologiche dopo solo tre settimane d’esposizione, immaginate cosa possa accadere a un essere umano che respira la stessa aria per anni.

Su tutti, un dato sconcertante emerge dallo studio: i livelli di contaminazione rilevati a Carditello, un’area verde non urbanizzata, sono quasi identici a quelli di Giugliano, epicentro dell’inquinamento industriale. Questo vuol dire che i fumi tossici non restano confinati, ma si spostano, si diffondono, si insinuano. Non esistono confini per le nano-particelle. Non c’è rifugio. Nemmeno in quei luoghi che dovrebbero rappresentare il simbolo di una Campania da proteggere.

Come ha dichiarato la ricercatrice Adriana Basile: “Non c’è alcun luogo preservato e sicuro per l’ambiente e la salute umana nell’area colpita”. Una frase certamente forte, ma assolutamente fondata. E di fronte a questa verità, continuare a minimizzare è non solo irresponsabile, ma anche pericolosamente disonesto.

I campioni di muschio, analizzati al microscopio, hanno mostrato segni di degenerazione cellulare, accumulo di metalli, reazioni di difesa antiossidante. In altre parole, le piante si stanno difendendo. E quando la natura è costretta a mobilitare le sue difese, è segno che qualcosa di grave sta accadendo. Questo tipo di risposta biologica è coerente con esposizioni a sostanze mutagene e cancerogene, e ci racconta qualcosa di più ampio: l’ambiente non è solo un contenitore passivo, ma un organismo che registra, reagisce, soffre.

Lo scenario descritto si inserisce perfettamente nell’approccio One Health, secondo cui salute umana, animale e ambientale sono indissolubilmente interconnesse. Quando una pianta mostra segni di sofferenza, è già troppo tardi per aspettare che l’allarme venga dagli esseri umani.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha recentemente condannato l’Italia per la gestione della Terra dei Fuochi, evidenziando un rischio “imminente” per la popolazione — e lo ha fatto con una decisione tutt’altro che casuale. Si tratta di una sentenza storica, che dà forza legale a ciò che la comunità scientifica e le associazioni del territorio sostengono da tempo. Adesso, serve trasformare questa consapevolezza in azione: bonifiche efficaci, controlli ambientali stringenti, educazione alla legalità ed un cambio di paradigma nella gestione dei rifiuti.

Antonio Giordano, presidente della SHRO e coautore dello studio, ha sintetizzato perfettamente la situazione: “Non ci sono più dubbi. La Terra dei Fuochi è una catastrofe ambientale in atto, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica”.

E allora? Allora non ci resta che agire. Non per generosità, ma per urgenza. Perché se oggi è il muschio a dirci che l’aria è veleno, domani potrebbe essere il nostro corpo a gridarlo. E forse, quando succederà, sarà troppo tardi per piantare alberi che purifichino ciò che noi abbiamo compromesso.

Non servono supereroi, ma cittadini consapevoli. E amministratori responsabili. Perché il verde torni ad essere ciò che dovrebbe essere: sinonimo di vita, non spettro della morte.

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