Sì, proprio così: un gruppo di ricercatori che lavora tra Barcellona, Dresda, Padova e l’Austria ha pubblicato uno studio su Physics of Fluids per spiegare, con metodo scientifico, come evitare i temuti grumi nel condimento. Un’analisi che non si limita a un vezzo accademico, ma che si traduce in una vera e propria ricetta, pensata per tutti quelli che, almeno una volta, hanno “imprecato” davanti a un pecorino che si separa invece di amalgamarsi.
Tutto è partito da un’esperienza comune a molti: una cena tra amici italiani all’estero. La voglia di sentirsi a casa, un pacco di pasta portato da Roma, una forma di pecorino romano che viaggia in valigia come un tesoro, e l’inevitabile desiderio di cucinare un piatto che sa di Trastevere. Solo che a un certo punto, uno di loro — Ivan Di Terlizzi, del Max Planck Institute per la Fisica dei Sistemi Complessi — ha avuto un’intuizione: e se la cacio e pepe, oltre ad essere buona, fosse anche un interessante caso di studio fisico?
Non una boutade tra colleghi, ma l’inizio di un’indagine che ha messo sotto la lente i meccanismi termodinamici e colloidali alla base della miscelazione tra formaggio e acqua. Perché il punto è proprio lì: il formaggio e l’acqua non si amano per nulla. Ma se li conosci bene, puoi farli andare d’accordo.
Il primo punto critico è il ruolo dell’amido. Non è un semplice residuo dell’acqua di cottura, ma un vero e proprio stabilizzante. In condizioni normali, il formaggio — che contiene grassi e proteine — tende a separarsi dall’acqua, formando quei grumi fastidiosi che rovinano tutto. L’amido, invece, crea un legame tra le molecole idrofile e quelle idrofobe, facilitando la formazione di un’emulsione stabile.
I test del team hanno mostrato che una concentrazione di amido tra il 2 e il 3% rispetto alla massa del formaggio è ideale per ottenere una salsa liscia e uniforme. Attenzione: non si parla di “un po’ d’acqua di cottura” a occhio, ma di dosi precise, misurate. Da laboratorio, appunto.
Seconda variabile fondamentale è la temperatura. Se si esagera col calore, le proteine del pecorino si denaturano, si agglutinano e il risultato è una massa informe che ha poco a che vedere con l’idea di una crema vellutata. L’intuizione dei fisici è che la temperatura dell’acqua, al momento in cui si aggiunge il formaggio, debba essere più bassa del previsto — attorno ai 55-60°C — e che l’intero processo di riscaldamento debba avvenire in modo dolce e progressivo.
In parole povere: niente padelle roventi, niente pasta bollente direttamente nella ciotola con il formaggio. Bisogna raffreddare l’acqua, mescolare con calma, e scaldare a bagnomaria se serve. Un approccio quasi zen, più da laboratorio che da trattoria. Ma funziona!
Ecco un approccio pratico, basato sui risultati dello studio:
- Cuoci la pasta al dente in abbondante acqua non troppo salata.
- Conserva una buona quantità di acqua di cottura, soprattutto quella finale, più ricca di amido.
- Lasciala raffreddare fino a circa 55-60°C.
- Aggiungi amido di mais o patate (1-2 cucchiaini per 100g di formaggio, per arrivare al fatidico 2-3%).
- Versa il pecorino romano DOP, grattugiato finemente, a pioggia, mescolando con una frusta.
- Riscalda dolcemente fino a ottenere una salsa liscia e omogenea.
- Condisci la pasta, aggiungi pepe nero macinato al momento e mescola fino ad avvolgere ogni singolo spaghetto.
La bellezza di questa storia non è solo nel risultato gastronomico, ma nel metodo. È un esempio perfetto di come il rigore scientifico possa incontrare la tradizione e aiutarci a comprenderla meglio. Troppo spesso si pensa alla cucina come a un’arte “intuitiva”, ma quando l’intuizione non basta, servono strumenti e conoscenza. E forse proprio la cacio e pepe, piatto tanto amato quanto traditore, meritava questo tipo di attenzione.
Abbiamo provato questa tecnica. Ben due volte. La prima volta è stata una mezza vittoria, la seconda un piccolo trionfo. E no, non abbiamo usato strumenti da laboratorio, ma ne abbiamo rispettato i principi: proporzioni, temperatura e pazienza. E questo basta.
Quindi, la prossima volta che preparate una cacio e pepe, fermatevi un attimo. Pensate a quegli italiani all’estero, alla fisica dei fluidi, e al fatto che dietro ogni grumo evitato c’è un piccolo gesto d’amore per la cucina italiana. Perché sì, anche il rigore scientifico può essere profondamente umano.