Il passato e il presente, i giovani di ieri e di oggi, la speranza e la fiducia nelle nuove generazioni. Un filo continuo, un legame che non si spezza e che rappresenta la colonna vertebrale della nostra società dal dopoguerra ad oggi.
Ecco i giovani, da sempre al centro di numerosi dibattiti, proposte politiche e sociali, da sempre protagonisti ed inconsapevolmente responsabili del futuro da costruire o almeno ipotizzare e immaginare. Il compito degli adulti è stato sempre quello di scuoterli, spronarli e incitarli sperando di raccogliere frutti ed entusiasmo. Le epoche cambiano, il progresso ci pone davanti a radicali trasformazioni, ma loro, i giovani, restano al centro dei nostri pensieri, ieri e oggi.
La testimonianza arriva dalla scelta di due tracce della prima prova scritta degli esami di Maturità 2025.
Da una parte il giudice Paolo Borsellino e la sua lettera scritta ai giovani negli anni 90, dall’altra la riflessione su un articolo delle divulgatrici scientifiche Anna Meldolesi e Chiara Lalli pubblicato sulla rivista Sette del Corriere della Sera e dal titolo “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa? “
Partiamo da Borsellino, il magistrato italiano che dopo la morte di Giovanni Falcone nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, intensificò il suo impegno nelle indagini, consapevole del rischio che stava correndo. Solo 57 giorni dopo, il 19 luglio 1992, anche lui fu assassinato in un attentato a Palermo, in via D’Amelio, insieme a cinque agenti della sua scorta.
Il testo di Borsellino “I giovani, la mia speranza”, è stato pubblicato dal periodico “Epoca” il 14 ottobre del 1992, tre mesi dopo la strage di via d’Amelio. Le parole del giudice siciliano esortano a riflettere sull’importanza della cultura della legalità da portare ai giovani come deterrente, a lungo termine, per la proliferazione della logica mafiosa.
Alcune sue parole rappresentano anche un invito alle nuove generazioni e soprattutto agli oltre 500 mila maturandi, a guardare avanti con maggiore forza e ottimismo
Borsellino parla dei suoi figli e ricorda la sua età adolescenziale.
“…….all’età di 15 anni io vivevo nell’assoluta indifferenza del fenomeno mafioso, che allora era grave quanto oggi. Invece i ragazzi di oggi (per questo citavo i miei figli) sono perfettamente coscienti del gravissimo problema col quale noi conviviamo. E questa è la ragione per la quale, allorché mi si domanda qual è il mio atteggiamento, se cioè ci sono motivi di speranza nei confronti del futuro, io mi dichiaro sempre ottimista.”
Ma Borsellino era anche convinto che dare forza ai giovani significava togliere consenso alla mafia
“….Se i giovani oggi cominciano a crescere e a diventare adulti, non trovando naturale dare alla mafia questo consenso e ritenere che con essa si possa vivere, certo non vinceremo tra due-tre anni. Ma credo che, se questo atteggiamento dei giovani viene alimentato e incoraggiato, non sarà possibile per le organizzazioni mafiose, quando saranno questi giovani a regolare la società, trovare quel consenso che purtroppo la mia generazione diede e dà in misura notevolissima. È questo mi fa essere ottimista”.
E’ significativo ciò che hanno scritto i suoi figli nel rivedere il nome di papà Paolo nelle tracce della Maturità: “Nella sua famosa frase ‘se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo’ è condensata tutta la speranza . Resta in noi oggi la consapevolezza che attraverso l’odierno riconoscimento e tributo, il sacrificio di nostro padre è come un seme che sta dando i suoi frutti. Il percorso è ancora lungo ma siamo sulla buona strada”
Sull’onda del suo ottimismo arriviamo anche ai giorni nostri, perché i giovani ritornano protagonisti anche nella traccia relativa al mondo social e all’indignazione, invitando gli studenti a riflettere su questo testo:
“L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa? Una nuova ricerca, pubblicata su Science, dimostra che questa reazione emotiva accompagna spesso contenuti discutibili e che chi si scandalizza davanti a una presunta ingiustizia non perde tempo a cliccare sui link, per approfondire e verificare. Così, visto che la mente umana può esprimere giornalmente solo un tot di rabbioso disgusto, finiamo per sprecarlo su questioni irrilevanti per ignorare invece i temi che davvero meriterebbero la nostra irritazione”.
In effetti a cosa serve il cosiddetto “sfogatoio” dei social, a cosa serve entrare nel tritacarne di situazioni, video, foto, post e commenti che puntano soltanto a raccogliere like e consensi se poi non riusciamo molto spesso neanche a distinguere la notizia vera da quella fake?
A cosa serve la rabbia o indignazione espressa nel mondo virtuale se non diventa concreta e produttiva nella vita reale?
In questo caso il consenso di cui parlava Borsellino 33 anni fa, si disperde oggi attraverso una tastiera e lo schermo di uno smartphone e rimane lì, in una mare immenso di haters, spettatori non paganti, visitatori saltuari e tanti altri che salgono sulla giostra dell’inutilità per il semplice piacere di ridere o arrabbiarsi di fatti altrui.
Tutto questo ci stanca, tutto questo consuma le energie dei giovani. Noi adulti, anziani o cosiddetti “boomers” ci distacchiamo dopo alcune ore, loro invece restano lì dentro, per il piacere di farlo, per il poco coraggio di distaccarsi, per il fascino del successo facile e del paese dei balocchi oppure per la paura di affrontare la vita reale? Quale sarà il vero motivo? Forse è l’insieme di tanti fattori, ma se davvero vogliamo che siano loro gli artefici di una società migliore, facciamo tutti la nostra parte, invogliamoli, incitiamoli e speriamo che anche le istituzioni pongano sulla loro strada opportunità diverse dai social, altrimenti quell’appello del giudice Borsellino di 33 anni rischia di disperdersi così come i consensi e le indignazioni espressi con un semplice like