E no, non è solo una questione di virologi, pediatri o operatori sanitari: è un campanello d’allarme che riguarda ciascuno di noi, perché ci parla di responsabilità, di fiducia nelle istituzioni scientifiche e di una memoria collettiva troppo corta.
Si tratta di un’impennata che sorprende solo chi non guarda i dati. Nel 2023 i casi notificati erano appena 44. Un numero che, a volerla dire tutta, era già il segnale di qualcosa che covava sotto traccia. Poi, nel 2024, l’esplosione: +2.275% in dodici mesi. E se pensi che possa essere un’anomalia italiana, ti sbagli. L’aumento si riflette in tutta Europa e segue il calo generalizzato della copertura vaccinale registrato durante e dopo la pandemia da COVID-19. Le priorità sanitarie si sono spostate, il rumore mediatico si è concentrato altrove e così, nell’ombra, il morbillo è tornato a colpire.
E colpisce duro!
La prima sorpresa, almeno per chi ancora associa il morbillo alle malattie infantili, è che l’età mediana dei contagiati è 30 anni. Oltre il 75% dei casi riguarda persone dai 15 anni in su. E questo ci porta a due considerazioni: la prima è che molti adulti non sono protetti, per mancata vaccinazione o per immunizzazione incompleta; la seconda è che chi si ammala in età adulta tende a sviluppare forme più gravi, con complicanze più frequenti e severe.
La fascia 0-4 anni, però, resta la più vulnerabile in termini di incidenza. Parliamo di neonati e bambini piccoli, spesso ancora troppo giovani per aver completato il ciclo vaccinale. Per loro la protezione dovrebbe essere la comunità. Dovrebbe, appunto!
Il 42% dei casi ha una tracciabilità dell’ambito di contagio. I numeri parlano chiaro: il contesto familiare è in cima alla lista, seguito dagli ambienti sanitari – ospedali, studi medici, ambulatori – e dai viaggi internazionali. Poi c’è il lavoro, la scuola, e tutto quel tessuto di vita quotidiana che ci mette in contatto gli uni con gli altri.
Il morbillo è tra i virus più contagiosi al mondo, con un fattore di riproduzione di base tra 12 e 18. Per capirci: se in una stanza entra un contagiato e dieci persone non sono immuni, è molto probabile che nove di loro si infettino. Non serve molto altro per comprendere quanto sia fondamentale la copertura di gregge, stimata attorno al 95% della popolazione vaccinata.
Per quel che riguarda il vaccino i numeri parlano da soli, su 975 casi con stato vaccinale noto, ben 878 non erano vaccinati. L’89,5%. Gli altri? In larga parte avevano ricevuto una sola dose, insufficiente a garantire un’immunizzazione completa. Solo 33 erano coperti da due dosi. Ora, è evidente che nessun vaccino offre protezione al 100%, ma quando i numeri sono così sbilanciati, l’evidenza diventa schiacciante.
E non è un dettaglio da poco: il morbillo è prevenibile. Non eliminabile con l’antibiotico di turno, ma prevenibile prima ancora che si manifesti. Ed è qui che il vaccino gioca il ruolo del protagonista, quello dimenticato troppo in fretta.
E per coloro che “credono” che il morbillo sia soltanto un semplice sfogo cutaneo, beh, nel 2024 il 35% dei casi ha avuto almeno una complicanza. Le più frequenti: epatite e polmonite. Ma non sono mancati casi gravi, come un’encefalite in un giovane adulto. E se ti sembra poco, considera che circa il 50% dei contagiati ha richiesto un ricovero ospedaliero e quasi il 20% è passato per un Pronto Soccorso. Numeri che non parlano di una “malattia lieve”. Parlano di pressione sui servizi sanitari, di costi sociali, di assenze scolastiche e lavorative, e soprattutto di sofferenza evitabile.
Il virus non colpisce ovunque allo stesso modo. Otto Regioni e Province Autonome concentrano oltre l’85% dei casi di morbillo: Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Sicilia. Ma il tasso di incidenza più alto si registra a Bolzano con 67 casi per milione. Una distribuzione disomogenea che riflette differenze nei programmi vaccinali regionali, nella sensibilità pubblica e nella capacità di intercettare i non vaccinati con iniziative mirate.
Il 2024 ci ha messo davanti a una verità difficile da digerire: abbiamo abbassato la guardia. E se oggi parliamo di “ritorno” del morbillo è solo perché, ad un certo punto, ci siamo illusi che fosse scomparso per sempre. Ma i virus non scompaiono. Restano lì, in attesa di un varco. E quando la copertura vaccinale si riduce, quando le disuguaglianze sanitarie aumentano, quando la disinformazione attecchisce, quel varco si apre.
E comunque non è questione di obblighi, ma di coscienza collettiva. Vaccinarsi significa proteggere se stessi, ma anche chi non può farlo: neonati, immunodepressi, pazienti oncologici. È un gesto di cura e attenzione verso la comunità.
Il morbillo non è tornato per caso. È tornato perché abbiamo smesso di raccontare perché ci vaccinavamo. Ora dobbiamo riprendere quel racconto, con dati, con empatia, con fermezza. E magari, anche con un pizzico di memoria storica in più.