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Il sesto evento di Herconomy: la parità di genere non è uno slogan ma un terreno di gioco reale

Napoli 8 maggio 2025 | Nel panorama delle manifestazioni che tentano - spesso senza troppo coraggio - di affrontare il tema della parità di genere, l'evento, promosso anche quest'anno dal mensile Economy Magazine, si distingue per sostanza, rigore ed un pizzico di sana ironia.

Questa sesta edizione di Herconomy dal titolo “Gender Games. Perché la parità di genere non è un gioco”, ospitata per la prima volta a Napoli nella splendida cornice del Tennis Club, ha riportato il tema della parità di genere al centro del dibattito economico e culturale, con un format che mescola numeri duri, storytelling aziendale e riflessioni ad alta voce. Una combinazione non così frequente nel panorama italiano.

Marina Marinetti condirettrice di Economy MagazineA introdurre i lavori, con il suo consueto tono a tratti ironico e tagliente, è stata Marina Marinetti, condirettrice di Economy Magazine, che ha tagliato corto con una frase che ormai è diventata la cifra stilistica dell’evento: “Il banco è maschio, e vince sempre”. Un’immagine provocatoria quanto precisa: fotografare lo squilibrio non basta, bisogna disinnescarlo. E già da qui, capisci che la conversazione sarà tutto tranne che ovvia.

Se partiamo dai dati, numeri (amari) alla mano, il primo paradosso salta subito all’occhio: in Italia, il 68,6% dei laureati è donna, ma questa superiorità si sgretola nell’accesso al lavoro stabile e qualificato. Solo 53,5 su 100 risultano occupate (contro 72 uomini), e appena il 36,9% ottiene un contratto a tempo indeterminato. Il part-time, poi, è un universo quasi esclusivamente femminile: 48 donne su 100 vengono assunte a tempo parziale, rispetto a 18 uomini. E qui non stiamo parlando di “flessibilità”, ma di un modello di impiego che ostacola un percorso professionale coerente.

Ma la diseguaglianza diventa ancora più evidente se si osserva la cosiddetta “piramide del potere”: solo il 21,1% dei dirigenti è donna. Un dato che si accompagna a una forte segregazione orizzontale: gli uomini si distribuiscono in 53 professioni prevalenti, le donne in appena 21. Qui, più che limiti strutturali, è il peso degli stereotipi culturali a orientare (e limitare) le scelte.

Vogliamo, poi, parlare del gender gap salariale: non è solo una questione di etica ma un preciso indicatore di inefficienza del sistema. Le donne guadagnano meno in tutte le categorie: oltre 8.000 euro di differenza tra dirigenti, più di 3.000 euro tra i quadri e circa lo stesso scarto anche tra gli operai. Ma non finisce qui: l’iniquità si riverbera nelle pensioni, che diventano lo specchio di una carriera interrotta ed a tratti invisibile. Nel settore privato, le donne percepiscono 1.000 euro al mese, contro i 1.561 euro degli uomini. Tra i lavoratori autonomi, la forbice si allarga ulteriormente: 730 contro 1.285 euro.

Alla radice di questo divario c’è il lavoro di cura, che ancora oggi grava quasi esclusivamente sulle donne. Lo conferma anche la normativa: 5 mesi di congedo per la maternità, 10 giorni per la paternità. Dieci. Giorni.

Dal 2022 esiste una certificazione nazionale per la parità di genere, pensata per premiare le aziende più virtuose. L’intento è giusto, ma l’adozione è ancora marginale: meno di 7.000 imprese certificate su oltre un milione potenzialmente idonee. Una quota irrisoria, pari allo 0,7%. E spesso – va detto – il processo si limita a operazioni di facciata, più che a un reale cambiamento nei processi aziendali.

Secondo un’indagine di LHH–Adecco, il 56% dei manager italiani non considera la parità una priorità strategica. Il 54% non sa neanche se l’azienda per cui lavora ha mai avviato un’iniziativa in questo ambito. In altre parole: siamo ancora al punto in cui “non sapere” è socialmente accettabile.

Una nota positiva arriva dal mondo finanziario: grazie alla legge Golfo-Mosca, il 48% dei consiglieri di amministrazione delle aziende quotate in Borsa è donna. Un risultato superiore alla media europea. Tuttavia, basta che un’azienda si “delisti” da Piazza Affari, e le donne scompaiono dagli organi di governance. Questo evidenzia un problema strutturale: senza obblighi normativi, la parità regredisce. Serve quindi un’adesione culturale prima che legislativa.

Durante il panel “Le regole del gioco”, tre professioniste hanno spiegato come standard, norme e compliance non siano vincoli, ma leve strategiche.

  • Daniela Asaro (RINA) ha sottolineato il valore trasformativo della certificazione come percorso di crescita.
  • Lara Conticello (RSM) ha ricordato che la compliance è uno strumento per prevenire crisi reputazionali, non solo un onere normativo.
  • Gianna Zappi (UNI) ha parlato di linguaggi condivisi, necessari per tradurre in azioni operative i valori ESG.

Un approccio che sposta l’asse dalla teoria alla pratica. E lo fa senza scorciatoie.

Nel panel “Game, set, match”, quattro donne hanno raccontato cosa significa oggi fare impresa da protagoniste.

  • Ludovica Zigon (Getra) ha portato la rappresentanza femminile in un’azienda tecnica al 35%.
  • Sara Merlo (Autospeed G) ha lanciato un’academy per formare autiste in un contesto dominato dagli uomini.
  • Caterina Meglio (Materias) ha integrato la sostenibilità non come storytelling, ma come strategia aziendale concreta.
  • Nunzia Giunta (Uomo e Ambiente) ha dimostrato che la leadership può essere efficace e gentile, senza concessioni né mimetismi.

Quattro visioni diverse, ma unite da una convinzione: cambiare si può, purché si inizi dall’organizzazione stessa.

Un passaggio particolarmente illuminante è stato l’intervento di Agnese Di Matteo, vicepresidente ASI, che ha ribaltato il cliché dell’automobile “roba da uomini”. L’ha fatto ricordando la storia di Berta Benz, pioniera dimenticata del motorismo storico, e raccontando la propria esperienza personale in un mondo ancora maschilista nei riflessi condizionati.

Perché sì, il pregiudizio culturale non si urla: si insinua. Ma si può smascherare. Anche con passione e competenza.

A margine dell’evento, Riccardo Villari, presidente del Tennis Club Napoli, ha lanciato un messaggio chiaro: “La parità non è solo equità, è anche intelligenza economica”. In effetti, secondo i dati della Banca d’Italia, se l’occupazione femminile superasse il 50%, il PIL nazionale aumenterebbe significativamente.

E allora, chi ha ancora dubbi sul fatto che la parità convenga a tutti?

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