L’aumento dell’uso delle tecnologie è costante e trasversale, ma con una particolarità: oggi il vero elemento di discontinuità non è più l’età anagrafica, ma il contesto territoriale. E questa non è una buona notizia!
Partiamo dai numeri: l’86,2% delle famiglie italiane dispone di una connessione Internet. Una percentuale che sale al 93,4% tra i nuclei familiari con almeno un componente tra i 16 e i 74 anni, praticamente in linea con la media UE. Fin qui tutto bene. Ma basta spostare lo sguardo sul Mezzogiorno per vedere un calo netto: meno 4,8 punti percentuali rispetto al Centro-Nord.
Questo divario digitale – chiamiamolo con il suo nome – è diventato una vera e propria frattura strutturale, che incide su opportunità educative, occupazionali e persino sanitarie. Se il digital divide si trasforma in un social divide, il rischio non è più solo tecnologico, ma democratico.
Il 46,8% degli utenti Internet italiani ha effettuato almeno un acquisto online negli ultimi 12 mesi. Un dato che non sorprende più, ma che va letto con attenzione. Perché l’e-commerce non è più una novità, ma una prassi. Un comportamento acquisito, insomma una vera e propria routine. E non parliamo solo di giovani nativi digitali, ma anche di fasce più mature che hanno imparato – spesso durante il lockdown – a fidarsi di una piattaforma, a leggere recensioni, ad usare una carta prepagata.
Cosa si compra? In primis abbigliamento e articoli per la casa. Ma crescono anche i servizi digitali, le esperienze (dai corsi online, agli abbonamenti streaming) e persino la spesa alimentare. In altre parole, il digitale non solo come consumo ma come stile di vita.
Gli uomini acquistano online più delle donne (il 50,5% contro il 43,3%), mentre i residenti nel Centro-Nord superano nettamente quelli del Sud (il 50% vs il 38,4%). Ma il dato più clamoroso è quello relativo ai giovani tra i 20 e i 24 anni: il 73,5% sono utenti attivi nell’e-commerce. Una cifra che racconta molto più di mille articoli della “generazione Z”.
Siamo davanti ad un salto generazionale netto, che impone a chi fa marketing, comunicazione e distribuzione di ripensare strategie, linguaggi e canali. Non è solo questione di TikTok o newsletter ben scritte: è un cambio culturale profondo e chi non si adatta rischia di essere tagliato fuori.
Il 73,4% degli italiani usa la rete per chattare, il 66% per effettuare chiamate via web, il 62% per utilizzare la posta elettronica. Fin qui, nulla di nuovo! Ma se guardiamo al tempo libero, il discorso si fa interessante: il 57,4% degli utenti guarda video su piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok, mentre il 49,4% ascolta musica in streaming o su web radio.
È il trionfo dell’on demand, del consumo personalizzato, del contenuto cucito su misura. Siamo passati – nel giro di pochi anni – dal palinsesto fisso all’algoritmo che anticipa i nostri desideri. E se da un lato questo amplia le possibilità, dall’altro ci obbliga ad un pensiero critico su come costruiamo le nostre giornate ed i nostri gusti.
Il dato che, forse più sorprende, riguarda gli anziani. L’uso di Internet nella fascia 65-74 anni è aumentato del 7,6% in un solo anno, mentre tra gli over 75 l’incremento è stato del 6,7%. E non è più un episodio sporadico ma una tendenza.
Dietro questo dato c’è un’Italia che non si rassegna a restare indietro. Una generazione che si mette in gioco, che scopre il digitale non come minaccia ma come strumento. Certo, con le sue difficoltà – basti pensare ai problemi di accessibilità o ai siti poco intuitivi – ma anche con una volontà che va sostenuta e possibilmente accompagnata.
Il 29,1% degli italiani ha visitato almeno una volta un sito della Pubblica Amministrazione nell’ultimo anno. Un numero in crescita, ma che va, anche questo, interpretato con cautela. Perché se è vero che c’è una maggiore confidenza con i servizi digitali, è altrettanto vero che “la user experience – l’esperienza utente” resta spesso ostica, soprattutto per chi non ha dimestichezza con la burocrazia online.
Lo SPID, per esempio, ha rappresentato un passo importante, ma resta uno strumento non sempre intuitivo. L’identità digitale è un traguardo, ma anche un percorso ad ostacoli. E serve più formazione, più supporto, più semplificazione.
Il quadro che emerge dall’indagine ISTAT è quello di un’Italia in movimento, che ha fatto progressi enormi in pochi anni, ma che deve ancora risolvere nodi importanti. Il digital divide territoriale, le differenze di accesso tra generazioni, la qualità dei servizi pubblici online: tutti aspetti, questi, che non possono essere ignorati.
Perché se è vero che la rete connette, è altrettanto vero che non lo fa automaticamente in modo equo. Ed allora il futuro della trasformazione digitale non sarà solo questione di tecnologia, ma di inclusione. Inclusione sociale, economica, territoriale.
Ed è proprio su questi tavoli che si gioca la partita più importante.