Ora con Leone XIV entriamo in quella che viene chiamata l’era della seconda sintesi. Cosa significa questo? Che la Chiesa continua ad avanzare, ma lo fa a un ritmo diverso, in un modo diverso, con un tono diverso, con uno stile diverso. Se Francesco è stato il papa della rottura dolce, del «disordine» e della misericordia, Leone XIV sarà il papa della continuità con la propria impronta, della concretezza senza stridore, del dialogo e del sorriso, del «fortiter in re, suaviter in modo» (fermezza nella sostanza, dolcezza nella modalità). Uno stile dolce e accessibile, senza durezza o gesti conflittuali; un governo con umanità, empatia e buon umore, anche di fronte alle differenze.
Leone XIV non viene a seppellire la primavera di Francesco o a riconsegnare la Chiesa alla sacrestia, ma a consolidare i processi aperti e a renderli irreversibili. Ma lo farà con moderazione, tatto e delicatezza. Senza ferire sensibilità, senza escludere nessuno, senza lasciare nessuno fuori dal convoglio delle riforme. La differenza sarà nello stile: più dialogo, più sorrisi, più mozzette e stole (che piacciono tanto ai conservatori), persino il ritorno a vivere nel Palazzo Apostolico e l’estate a Castel Gandolfo. Perché il cambiamento non è nell’abito o nella residenza, ma nel cuore e nella direzione del processo.
Leone XIV sa che la Chiesa è un poliedro, non una piramide. Che il centro si conquista, non si impone. Che gli estremi esistono, ma l’arte sta nell’unirli senza inimicarsi nessuno. E sa anche che – come diceva Francesco – «il tempo è superiore allo spazio»: l’importante è mettere in moto processi, non occupare spazi di potere.
La seconda sintesi sarà quella delle cose concrete. È tempo di radicare la sinodalità nelle parrocchie e nelle diocesi, aprire spazi reali per le donne, garantire la tolleranza zero per gli abusi e continuare a lottare per una Chiesa inclusiva, povera e per i poveri. Ma tutto questo con uno stile più istituzionale, più diplomatico, meno dirompente. Leone XIV non viene per fare rumore, ma per tessere consensi. Per governare con autorità morale, non con imposizioni. Se è stato capace di governare i suoi frati e la sua diocesi di Chiclayo, profondamente segnata da decenni di vescovi dell’Opus Dei, come potrebbe non essere capace di governare la Chiesa universale?
Leone XIV ha un vantaggio: ha tempo. E nella Chiesa il tempo è prezioso. Può permettersi di procedere senza fretta, di consolidare ogni passo, ascoltare tutti e lasciare che i processi maturino. Perché sa che le imposizioni sono di breve durata, ma i consensi durano. Il suo pontificato, che si prevede lungo data la sua età, sarà quello del consolidamento tranquillo, della riforma senza rotture, la Chiesa del centro che non rinuncia alle periferie.
La seconda sintesi sarà soprattutto quella dell’inclusione. Leone XIV vuole una Chiesa in cui ci siano tutti: i nostalgici della sacrestia e i sognatori della periferia; coloro che bramano l’incenso e coloro che preferiscono il fango; coloro che pregano in latino e coloro che cantano in guaraní. Un papa per tutti, senza nemici, senza esclusioni, senza rotture. Un papa che sa che la Chiesa è più forte quando è più ampia, più credibile quando è più umile, più fedele al Vangelo quando è più umana.
Leone XIV, il papa della seconda sintesi, ha davanti a sé la sfida di conquistare il centro senza perdere l’anima. E, da quanto abbiamo visto finora, è più che preparato a conseguirla.
Papa Prevost può conquistare il centro senza inimicarsi gli estremi, promuovendo una leadership di equilibrio, di dialogo e di gesti inclusivi, che cerchino di aggiungere e non di escludere. Il suo profilo e le sue decisioni iniziali dimostrano una chiara intenzione di unire la Chiesa, rispettando la pluralità di sensibilità e di stili, ed evitando sia rotture sia imposizioni brusche.