La storia comincia in un’officina di Crusinallo, frazione di Omegna, sulle sponde del Lago d’Orta. Alfonso Bialetti, tecnico con esperienza francese, apre una fonderia specializzata nella lavorazione dell’alluminio. Ma è nel 1933 che arriva l’invenzione destinata a rivoluzionare il nostro modo di bere il caffè: la Moka Express. Semplice nella struttura – caldaia, filtro, raccoglitore – ma geniale nel funzionamento. L’idea nasce osservando il funzionamento rudimentale di una lavatrice domestica: la lisciveuse. Il resto è storia industriale, ma anche sociale. Perché la moka diventa parte dell’identità collettiva italiana.
Il grande salto però avviene con Renato Bialetti, figlio di Alfonso, che dopo la Seconda guerra mondiale trasforma la piccola attività artigianale in un’industria. Ed è lui a capire l’importanza della comunicazione, in anni in cui il marketing era ancora un concetto acerbo. Nel 1958 affida a Paul Campani la creazione del personaggio che diventerà il volto di Bialetti: l’omino coi baffi, caricatura bonaria dello stesso Renato, che dagli schermi del Carosello incanta milioni di italiani con la celebre battuta “Eh sì, sì, sì… sembra facile fare un buon caffè!”.
Quel tratto ironico, leggero, ma profondamente riconoscibile, trasforma il marchio in un’icona. In quegli anni, ogni casa italiana ha almeno una moka sul fornello. E presto anche all’estero ci si accorge del fascino italiano racchiuso in quel piccolo oggetto d’alluminio.
Negli anni ‘70 però cominciano le prime difficoltà. La concorrenza delle caffettiere economiche e un mercato sempre più frammentato mettono in crisi l’azienda. Cambiano le proprietà: prima Faema e poi Rondine Italia della famiglia Ranzoni. Nel 1998 nasce il gruppo Bialetti Industrie, e nel 2007 l’azienda approda in Borsa. E non è un passaggio solo formale, ma sancisce il tentativo di rilanciare il brand su scala globale, diversificando i prodotti e puntando su nuove tecnologie come le macchine a capsule e, più tardi, su una propria linea di caffè.
Ma la moka non è solo un prodotto. È un oggetto di culto. Simbolo di un’epoca, di uno stile di vita, di un’estetica. Non a caso è oggi esposta nelle collezioni permanenti del Triennale Design Museum di Milano e del MoMA di New York. La sua forma ottagonale, brevettata per migliorarne la presa anche da bagnata, è diventata parte del nostro immaginario visivo. Un design funzionale, essenziale, che strizza l’occhio all’Art Déco ma conserva una sua modernità assoluta.
Negli ultimi dieci anni, Bialetti ha dimostrato una notevole capacità di adattamento. Dal lancio delle capsule, all’introduzione di una propria linea di caffè macinato premiata dai consumatori, fino all’attenzione per la sostenibilità ambientale. Oggi la moka è un esempio virtuoso di economia circolare: realizzata in alluminio riciclabile, lavabile senza detergenti, compatibile con il compostaggio del residuo di caffè. Una scelta green, sì, ma anche una dichiarazione di coerenza con i valori originari dell’azienda.
Ed eccoci al presente. Aprile 2025: Nuo Capital, fondo d’investimento lussemburghese a guida cinese, acquisisce il 78,56% di Bialetti Industrie. Una notizia che ha fatto rumore. Non tanto per l’aspetto finanziario – il piano di rifinanziamento prevede investimenti corposi – quanto per il significato simbolico. È l’ennesimo capitolo di una storia tutta italiana: quella dei marchi storici che finiscono in mani straniere. Ma stavolta il management rassicura: il brand resterà fedele alla sua anima, e l’ingresso di capitali esteri è visto come leva strategica per rafforzarne il posizionamento internazionale.
Il punto, però, è culturale. Cosa significa oggi “Made in Italy”, se i capitali sono stranieri, le sedi legali internazionali, e le decisioni strategiche prese altrove? La vera sfida per Bialetti – e per tutti i marchi italiani storici – è questa: mantenere viva la propria identità pur navigando in un contesto globale. Non è una questione nostalgica, ma strategica. Perché il valore aggiunto del “Made in Italy” è proprio quello storytelling autentico, quella storia vissuta, che nessuna operazione finanziaria può improvvisare.
Resta una certezza. La moka continuerà a borbottare nelle cucine italiane, che sia prodotta a Omegna o a Shenzhen. Perché ciò che rappresenta – il rito, la qualità, la semplicità – va oltre il bilancio d’esercizio. È parte della nostra cultura.
E finché ci sarà qualcuno disposto ad attendere quei tre minuti per un buon caffè, Bialetti non sarà mai solo un marchio. Sarà un pezzo di casa.