Esistono tanti modi per comprendere le situazioni. Esistono tanti punti di vista, idee, opinioni. E nessuno può permettersi di giudicare, di decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Eppure, davanti ai numeri è quasi impossibile chiudere gli occhi ed ignorare ciò che sta accadendo.
- 40,6 anni: l’aspettativa di vita attuale di coloro che abitano a Gaza.
- Più di 111 mila: il numero di feriti dall’inizio del conflitto a Gaza.
- 52 mila: il numero di morti.
- Ed infine, 2 milioni: il numero di sfollati.
A volte abbiamo bisogno di guardare ai numeri per comprendere la gravità di certe azioni. I numeri, infatti, non mentono, sono indiscutibili. E quelli dei morti non fanno che aumentare.
Essere da questa parte del mondo, quella “sana”, quella “integra”, ci fa sentire protetti, in qualche modo distanti da una realtà che invece è anche la nostra di realtà, abitando tutti lo stesso pianeta.
Ma che succede quando una situazione, quella della parte del mondo sbagliato, malato, sporco, lontano, proprio quella, ci raggiunge, ci tocca, ci supplica aiuto attraverso gli occhi indifesi di bambini che hanno la sola colpa di essere nati dalla parte sbagliata della terra?
Che succede se quella diviene definitivamente anche la nostra verità?
Oggi, mercoledì 14 maggio, l’aeronautica militare italiana ha evacuato da Gaza e trasportato in Italia, circa 14 bambini, feriti, mutilati, straziati da una guerra che dura troppo e che non ha pietà per nessuno.
Attraverso due veicoli speciali C-130J provenienti dal Cairo, l’Italia ha strappato via da quelle terre macchiate di sangue, vite che implorano aiuto. Il gesto di solidarietà umanitaria compiuto dai nostri militari è stato realizzato nell’ambito del Meccanismo Europeo di Protezione Civile, attivato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e coordinata dal Dipartimento della Protezione Civile attraverso la CROSS – Centrale Remota per le Operazioni di Soccorso Sanitario – di Pistoia.
L’operazione conferma il sostegno dell’Italia nei confronti della popolazione civile di Gaza, in un momento in cui evacuazione medica e traporti di aiuti militari non bastano più.
Ed ora davanti a noi ci appare l’immagine di piccole creature con addosso il peso di una guerra. Anime innocenti che mettono piede nel nostro paese. Solo ora, forse, ci rendiamo conto che non esistono confini di terre e che esiste un’unica storia, quella che appartiene all’essere umano e che solo lui può scrivere e cambiare.
Inevitabile non guardare al passato. La memoria storica non serve solo a commemorare vittime ma soprattutto serve a prevenire che le stesse dinamiche si ripetano, anche se sotto forme diverse. Perché come disse Primo Levi ‘’è accaduto, quindi può accadere di nuovo’’.
E speriamo che possa arrivare quel giorno, un 27 gennaio qualunque in cui le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz in Polonia.