Chi conosce Pozzuoli sa che il Rione Terra non è un semplice quartiere storico: è un luogo che si è rialzato dalle sue stesse ceneri, trasformando le rovine in racconto, l’abbandono in patrimonio. Palazzo Migliaresi, incastonato in questa meraviglia di pietra e mare, non è solo sede dell’evento, ma vero e proprio simbolo di rinascita. Sceglierlo per ospitare il Premio Dicearchia 2025 è più di una decisione logistica: è una dichiarazione d’intenti. È come dire che la cultura non solo deve essere visibile, ma deve essere collocata nei luoghi dove la memoria ha ancora il coraggio di interrogarsi.
Raiz non è un cantante come tanti. È un interprete viscerale della napoletanità, ma senza indulgere in stereotipi o oleografie. La sua voce ha attraversato decenni, contaminazioni musicali, identità molteplici. Dall’avanguardia degli Almamegretta alle sonorità più recenti, ha sempre scelto la via meno comoda, quella della ricerca. Raiz è un artista che non canta per piacere, ma per necessità. E forse è proprio questa urgenza a renderlo così vero. Lo ascolti e ti accorgi che ogni parola ha un peso, ogni nota è una scelta. E in un’epoca di sovrapproduzione musicale, questa coerenza è un atto di rara onestà.
Il premio, ideato da Giovanna e Ciro Di Francia dell’associazione Nuova Dicearchia, ha una missione chiara: valorizzare l’impegno culturale e sociale di chi non dimentica. La scelta di premiare figure legate alla difesa dell’ambiente e alla sensibilizzazione sulla Terra dei Fuochi non è casuale. È un modo per tenere alta l’attenzione su una ferita che continua a sanguinare, ma anche per offrire uno spazio alla speranza. Raiz, con la sua musica e con la sua voce inconfondibile, è stato capace di raccontare quel disagio senza renderlo retorico. La sua arte parla a chi ha visto troppo, ma anche a chi ancora può vedere.
In tempi recenti, Raiz ha affrontato una perdita lacerante: la scomparsa della moglie Daniela. Eppure non ha mai smesso di fare musica. Non per evadere, ma per rimanere. Perché chi crea, a volte, non ha altra scelta che trasformare il dolore in linguaggio. C’è qualcosa di profondamente umano in questo percorso: il lutto diventa voce, la fragilità diventa ponte verso gli altri. Raiz non ha cercato compassione, ma condivisione. E questa è la differenza tra l’artista e il semplice interprete.
Il Raiz che oggi vediamo in televisione, nei panni di “don Salvatore Ricci” nella serie Mare Fuori, è un uomo che sa muoversi tra il sacro e il profano, tra redenzione e condanna. Ma non è solo fiction. È la continuazione coerente di un discorso artistico e civile che attraversa i linguaggi. Raiz non recita un ruolo: lo abita. E lo fa con una credibilità che nasce da un vissuto autentico, da una cultura assorbita a fondo. Perché se Napoli è una città complessa, stratificata e spesso fraintesa, lui è una delle sue voci più limpide e meno accomodanti.
A dare ulteriore autorevolezza all’evento saranno le presenze istituzionali: il magistrato Massimo Urbano, l’avvocato penalista Giovanni Siniscalchi e il giornalista Claudio Ciotola, che modererà l’incontro. Figure diverse ma unite da un comune sentire: la consapevolezza che la giustizia, la cultura e l’impegno civile non devono viaggiare su binari separati. La premiazione sarà trasmessa in diretta da Campi Flegrei TV, a dimostrazione che anche i media locali possono e devono farsi portavoce di storie importanti.
Non è superfluo sottolineare l’importanza del supporto di realtà come il Comune di Pozzuoli, l’Ordine dei Giornalisti e l’Antica Pasticceria Del Giudice. In un tempo in cui la cultura fatica a trovare spazi e risorse, questi patrocini non sono solo formali: sono segnali di un tessuto sociale che sceglie di investire sulla memoria e sull’identità. E, diciamolo, anche sul coraggio di raccontare storie che sanno di ferite ma anche di cura.
Il Premio Dicearchia non è solo un evento: è un’occasione. Un’occasione per fermarsi, ascoltare, riflettere. Per chiedersi cosa significhi davvero “resistere” oggi, in una società spesso distratta e disillusa. È una celebrazione, sì, ma anche un atto politico, nel senso più alto del termine: quello di restituire centralità alla cultura come strumento di comprensione del reale. E allora, parteciparvi non è solo un invito: è quasi un dovere. Per chi crede che la bellezza, quando è radicata nella verità, possa ancora fare la differenza.