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HomeScienza e SaluteMorbillo in Italia, una minaccia evitabile che invece ritorna

Morbillo in Italia, una minaccia evitabile che invece ritorna

C'è un paradosso curioso nel mondo della sanità pubblica: più una malattia è prevenibile, più tendiamo a sottovalutarla. Il morbillo ne è l’esempio lampante. Siamo nel 2025 e il virus, che pensavamo relegato alle cronache mediche del secolo scorso, è tornato a farsi vedere – e non in punta di piedi. In Italia abbiamo superato i 1.000 casi nel 2024, e non accadeva da cinque anni. Un dato che fa riflettere, soprattutto se pensiamo che abbiamo a disposizione un vaccino sicuro, efficace e gratuito.

La domanda è inevitabile: com’è possibile che ci ammaliamo ancora di morbillo? La risposta, come spesso accade, è un mix di scelte politiche, culturali e individuali.

Il morbillo è una malattia esantematica causata da un virus della famiglia “Paramyxoviridae”, ad alta trasmissibilità – e quando dico “altissima” intendo che un singolo individuo infetto può contagiarne fino a 18. Siamo ben oltre il tasso R0 di molte altre infezioni respiratorie. Il virus si diffonde per via aerea, resta sospeso nell’aria per ore e trova terreno fertile in ambienti chiusi e affollati, quali scuole, palestre e trasporti pubblici.

In molti lo considerano ancora una malattia “banale”, da affrontare con una settimana di letto e qualche antipiretico. Ma la realtà è ben diversa. Prima dell’avvento dei programmi vaccinali su larga scala, il morbillo provocava oltre 2 milioni di morti all’anno nel mondo, causandosi milioni di casi e facendo registrare un tasso di mortalità che toccava cifre drammatiche. Ancora oggi, può causare polmoniti, encefaliti e – nei casi più gravi – la morte. Nel 2024, in Europa, il virus ha provocato 38 decessi, secondo i dati dell’OMS. Negli Stati Uniti, tre bambini sono morti per complicanze, tutti non vaccinati.

Dopo il picco del 2017 con oltre 5.000 casi, l’introduzione dell’obbligo vaccinale ha prodotto una significativa flessione nei contagi. Ma la tregua è durata poco. Complici la pandemia – che ha rallentato le vaccinazioni pediatriche – e una crescente sfiducia nei confronti dei vaccini, nel 2024 siamo tornati a superare quota 1.000. Nello stesso anno, l’Europa ha registrato oltre 32.000 casi, con la Romania che da sola ha superato i 27.000. L’Italia si è piazzata al secondo posto, seguita da Germania, Belgio e Austria.

Numeri alla mano, è evidente che il virus non è mai andato via davvero. Ha solo aspettato che abbassassimo la guardia.

Per interrompere la trasmissione del morbillo serve una copertura vaccinale del 95% su due dosi. In Italia, nel 2023, la prima dose ha raggiunto il 94,6% – praticamente c’eravamo. Ma la seconda dose, quella decisiva, si è fermata all’84,8%. E il dato è ancora più preoccupante se si scende nel dettaglio regionale: in alcune aree del Sud si scende sotto il 75%.

Non è solo un problema di percentuali. È un problema di distribuzione. Un virus così contagioso, in presenza di sacche non immunizzate, si muove con la velocità e la precisione di un algoritmo ottimizzato per la diffusione. Bastano pochi cluster scoperti per innescare un’epidemia.

Poi, c’è il tema, mai secondario, della comunicazione. Le fake news che legavano il vaccino MPR all’autismo – smentite da decine di studi e dalle principali autorità scientifiche internazionali – hanno lasciato strascichi profondi. Alcuni genitori, pur animati da buone intenzioni, preferiscono “aspettare” o “valutare”, dimenticando che il rischio maggiore è proprio nella non vaccinazione.

A questo si aggiungono ostacoli logistici, difficoltà di accesso ai centri vaccinali in alcune aree, comunicazione istituzionale poco incisiva, e un sistema sanitario territoriale a geometria variabile.

L’Italia, in generale, dispone di un sistema integrato di sorveglianza morbillo-rosolia che, almeno sulla carta, è tra i migliori d’Europa. È gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con la rete MoRoNet, che coordina 15 laboratori regionali specializzati nella diagnosi virologica e nella genotipizzazione dei ceppi.

Il sistema prevede:

  • segnalazione obbligatoria dei casi sospetti entro 12 ore;
  • indagini epidemiologiche entro 24 ore;
  • analisi di laboratorio e tracciamento dei contagi;
  • condivisione dei dati con ECDC e OMS.

È un modello efficiente, ma che dipende dalla tempestività e dalla qualità delle segnalazioni locali. La componente umana – come sempre – fa la differenza.

Eliminare il morbillo è possibile. Non si parla di eradicazione globale, come nel caso del vaiolo, ma di eliminazione nazionale: cioè zero trasmissione endemica per almeno 12 mesi consecutivi. Un obiettivo che si può raggiungere con tre leve:

  1. Copertura vaccinale completa e uniforme.
  2. Sorveglianza epidemiologica ad alta sensibilità.
  3. Interventi mirati in caso di focolai.

E qui entra in gioco anche il ruolo delle persone. Vaccinarsi non è solo un atto individuale, è un gesto di responsabilità collettiva. Significa proteggere chi non può farlo: neonati, immunodepressi, anziani fragili.

In un’epoca in cui l’informazione è a portata di click, non possiamo più permetterci scelte basate su percezioni distorte. La scienza ha fatto il suo. Ora tocca a noi fare il nostro. Non si tratta di allarmismo, ma di consapevolezza. La lotta al morbillo passa anche da qui: dal recuperare fiducia nella medicina, dal mettere al centro la prevenzione e dal considerare la salute pubblica come un bene condiviso.

Perché se c’è una cosa che il morbillo ci insegna, è che nessuno è davvero al sicuro finché non lo siamo tutti.

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