Paolo Crepet, noto psichiatra, sociologo ed educatore interviene sul caso della terribile morte della 14enne Martina Carbonaro.
Crepet non si scompone e ribadisce il pensiero espresso più volte nei dibattiti, sui quotidiani e nei talk show televisivi, ossia il serio problema di generazioni allo sbando, assenti, senza riferimenti e completamente disconnesse dalla realtà
“Non c’è nulla di sorprendente. È tutto perfettamente coerente con il mondo che abbiamo costruito. Queste tragedie sono la conseguenza diretta di ciò che siamo diventati. Abbiamo trasformato i bambini in piccoli adulti senza mezzi per esserlo. Li lasciamo soli con smartphone e social, e ci stupiamo se scambiano l’amore per possesso, la gelosia per sentimento, la violenza per un atto d’amore estremo. Da Milano a Napoli, da famiglie benestanti a contesti più fragili, il comune denominatore è l’assenza di un’educazione emotiva e relazionale. Crescono ragazzi incapaci di tollerare la frustrazione, impreparati alla fatica del vivere insieme, alla complessità dei sentimenti”.
Nel suo commento Crepet evidenzia che lo smartphone rappresenta l’elemento più dannoso di questa società e di questi giovani, solo like e nessun contatto umano
“Lo smartphone è diventato un surrogato affettivo. I ragazzi crescono davanti a uno schermo, iperstimolati, disabituati al silenzio, al confronto reale, alla noia. Non parlano più. Comunicano a suon di emoji, di like, di stories. Ma non ascoltano, non comprendono, non sentono. La cultura del ‘mi piace’ ha sostituito quella del ‘mi importa’. I ragazzi oggi cercano conferme, non relazioni. E quando qualcosa finisce, spesso non sanno gestire la perdita. Quando muore una ragazza, tutti si indignano. Si fanno fiaccolate, minuti di silenzio, post su Facebook. Ma poi? Niente. La politica resta a guardare. I programmi scolastici non cambiano, i fondi per l’educazione alle emozioni non arrivano, le famiglie non vengono sostenute.”
Si chiede giustizia, ma non si parla di cultura, scuola e famiglia. Secondo Crepet manca una vera rivoluzione culturale, un cambio di passo, un processo di rieducazione per riscoprire sentimenti e sensibilità
“Non è solo una questione di leggi più severe, ma di cultura. Non basta punire chi uccide. Bisogna prevenire chi pensa che l’amore giustifichi il possesso. E questo lo si fa a scuola, in famiglia, nei media. Serve una rivoluzione culturale. Siamo diventati una società che si commuove ma non cambia. Abbiamo una memoria emotiva breve. Ci indigniamo per tre giorni, poi passiamo al prossimo caso. Il dolore collettivo si consuma velocemente, senza lasciare tracce concrete.”
E poi conclude sull’esigenza di agire e di non meravigliarci più davanti a questi tragici episodi. Agire per mettere fine ad un fenomeno quasi scontato in una società malata e depressa che sta consumando i giovani
“Finché continueremo a stupirci, vorrà dire che non abbiamo capito. Dobbiamo smettere di sorprenderci e cominciare ad agire. Il tempo della retorica è finito. È ora di educare. E per educare bisogna prendersi responsabilità, rischiare impopolarità, scegliere la fatica invece della comodità.”
Martina non c’è più e come lei tante altre per le quali abbiamo pianto, abbiamo scritto, abbiamo chiesto e sperato pene severe. Per quei femminicidi che ci hanno visto in piazza, che ci hanno dato una spinta a valorizzare una donna e non maltrattarla, ma non ci siamo indignati, non ci siamo arrabbiati sul serio e come dice Paolo Crepet, non abbiamo mai dato il via a quella rivoluzione culturale che possa scuotere le nuove generazioni. Il loro essere passivi, anaffettivi e connessi solo con un mondo virtuale, non crea emozioni e amore, ma solo disagio e violenza come se nulla fosse