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HomeGlobal NewsCattolicesimo contemporaneoQuando tutto il resto manca: trovare Dio nel vuoto – di José Carlos Enríquez Díaz

Quando tutto il resto manca: trovare Dio nel vuoto – di José Carlos Enríquez Díaz

Cosa resta quando non c’è più niente? Quando la vita crolla e non ci sono risposte. Quando le mani sono vuote e l’anima si sente ancora più vuota. Quando il dolore non si spiega, quando il silenzio pesa più di qualsiasi parola, sorge una domanda che mi tiene sveglio la notte: dov’è Dio quando sono rimasto senza niente?

Ci sono momenti in cui persino pregare sembra inutile. Non perché non credi, ma perché non hai più la forza di credere. È questo luogo arido, senza senso, dove persino il tuo corpo sembra portare la tristezza. È il luogo oscuro dell’anima, dove il mondo diventa distante, il futuro irrilevante e il presente un peso che rende difficile respirare.

Henri Nouwen ne «Il guaritore ferito» afferma che solo chi ha sofferto può curare. Che Dio stesso guarisce non dall’alto, ma a partire dalla ferita. Dall’abbandono della croce. Dal «perché mi hai abbandonato?», la preghiera di chi non ce la fa più. Dio non si sottrae al dolore umano: lo abita.

Nella pittura di Picasso, soprattutto durante il suo periodo blu, tutto è eco di un vuoto: volti contorti dal dolore, figure rattrappite dalla tristezza, toni freddi come la solitudine. Era il linguaggio dell’anima spezzata, espresso in linee e pigmento. Perché, quando l’anima crolla, cerca di esprimerlo anche se non ha parole. A volte la bellezza nasce dal profondo della ferita.

Romano Guardini, pensatore del sacro, affermava che ci sono sofferenze che non hanno spiegazione né soluzione. Che la vita, a volte, si presenta come un mistero crudo. In questi momenti, più che risposte, ciò di cui si ha bisogno è non fuggire. Restare tranquillo. Guardare dritto davanti a sé. Non comprendere, ma essere. Questa è una forma profonda di fede: non quella di chi domina il mistero, ma quella di chi osa entrarvi.

Ed è lì, in questo luogo vuoto, che – a volte senza sapere come – comincia a nascere qualcosa di nuovo. Non con un botto, né con miracoli, ma come una brezza leggera. Una piccola luce che non si impone, ma che non si spegne nemmeno. Una tenerezza che appare timidamente sul bordo dell’anima spezzata. Dio non sempre viene a restaurare ciò che è perduto, ma viene a rivelarci qualcosa che prima non potevamo vedere.

Forse, quando non rimane più nulla, resta Dio in un’altra forma. Non come una facile consolazione, ma come una presenza discreta. Non come chi cancella il dolore, ma come chi lo attraversa insieme a te. E, anche se sembra impossibile, questo Dio, che sembrava assente, inizia a parlare dal profondo dello stesso vuoto. Non con discorsi, ma con una misteriosa compagnia che inizia a ricostruirti dall’interno.

Accettare il vuoto non significa arrendersi. È una forma di apertura. È permettere a ciò che si è rotto di avere il suo tempo per trasformarsi. Perché anche nella terra più arida può sbocciare un fiore inaspettato. Il silenzio più amaro può preparare il terreno per una parola nuova. E il vuoto lasciato da ciò che si è perso può diventare spazio per l’eterno.

Non ci sono formule. Nessuno può dirti come respirare di nuovo. Ma una cosa è certa: quando tutto ti manca, non sei solo. Anche se non lo senti, anche se non lo capisci, c’è una Presenza che rimane. Invisibile, ma salda. Silenziosa, ma certa.

Ed è lì, proprio quando tutto sembra finire, che inizia la cosa più vera: una vita non basata su ciò che hai, ma su ciò che sei; non su ciò che possiedi, ma su ciò che ti sostiene. E questo, in fondo, è Dio: non un amuleto, non una soluzione, ma una Presenza che non se ne va, anche quando tutto sembra andarsene.

Come dice il profeta Osea: «Per un breve istante ti ho abbandonata, ma con grande compassione ti raccoglierò… La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (cf. Os 2,14).

E inoltre: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato…  insegnavo loro a camminare tenendoli per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» (Os 11, 1.3-4a).

 Dio non vuole figli fragili, ma anime mature. E a volte, il dolore è la scuola dove cresce l’amore maturo.

Quando non rimane più nulla… tutto ancora rimane. Perché resta Dio.

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Lorenzo Tommaselli
Lorenzo Tommaselli
Lorenzo Tommaselli è docente di lettere classiche presso il Liceo “Alfonso Maria de’ Liguori” di Acerra (NA). È stato docente invitato di lingue classiche presso la PFTIM dell’Italia meridionale, sez. San Luigi. Traduttore e curatore di testi di Jacques Gaillot e José María Castillo, si occupa di animazione biblica in gruppi di base.

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