Ogni anno in Italia muoiono per annegamento circa 328 persone. Il dato più inquietante? Il 12,5% di queste vittime sono minori. Parliamo di oltre 40 bambini e ragazzi che ogni anno perdono la vita in acqua. Di questi, oltre l’80% sono maschi. Una sproporzione che ha ragioni comportamentali e culturali: maggiore propensione al rischio, dinamismo, minore capacità di autocontrollo.
Ma il dato che colpisce di più è quello relativo alle piscine: gli annegamenti interessano prevalentemente bambini al di sotto dei 12 anni, con una percentuale significativa concentrata tra quelli con meno di 9 anni. Questo significa che, contrariamente a quanto si pensa, il pericolo non è solo il mare agitato o il lago profondo. Il rischio è anche (e soprattutto) a casa, in giardino, in piscina, magari mentre i genitori sono a pochi metri di distanza.
I bambini piccoli hanno un’attrazione naturale per l’acqua. Non la percepiscono come un rischio, ma come un richiamo irresistibile. Il problema è che, sotto i 4 anni, anche una piscinetta gonfiabile può trasformarsi in una trappola. I più piccoli, soprattutto quelli che hanno appena iniziato a camminare, hanno un equilibrio precario e una scarsa capacità di reazione. In caso di caduta, scompaiono sott’acqua in 20 secondi. Il tempo, per capirci, di una distrazione.
Uno degli errori più gravi — e più comuni — è l’idea che basti “dare un’occhiata”. Lo confermano i dati raccolti dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità): mentre sorvegliano un bambino vicino all’acqua, il 38% dei genitori chiacchiera con altri adulti, il 18% legge, il 17% mangia, l’11% è al telefono. In pratica, la sorveglianza diventa un’attività accessoria.
A questo si aggiungono false credenze. Quasi la metà dei genitori pensa che, in caso di difficoltà, il bambino piangerà o farà rumore. Ma l’annegamento è silenzioso. Non assomiglia a quello dei film, dove si agita l’acqua e si grida. È un processo rapido, muto, e spesso invisibile.
Più della metà degli annegamenti in piscina (il 53%) coinvolge bambini di età inferiore ai 9 anni. E nella stragrande maggioranza dei casi, l’evento si verifica in piscine domestiche. Questo perché la percezione del rischio si abbassa drasticamente “in ambiente familiare”. Si tende a credere che l’acqua di casa sia più sicura, ma la verità è che le condizioni sono spesso peggiori: nessuna sorveglianza professionale, accessi non protetti, assenza di barriere, niente regole. E tutto questo è aggravato dalla convinzione, pericolosa, che “tanto siamo a casa”.
E non è una questione di fortuna. L’annegamento è uno degli incidenti domestici più prevedibili che esistano. Serve solo un cambio di paradigma. La sicurezza in acqua non è un optional, né una semplice raccomandazione. È una responsabilità collettiva che parte dalla consapevolezza.
Ecco alcune indicazioni pratiche:
- Scegliere sempre ambienti sorvegliati: piscine con bagnino, spiagge con segnaletica, laghi attrezzati.
- Evitare tuffi improvvisati: la profondità va valutata, come anche le condizioni del corpo (digestione, colpi di sole).
- Controllare attivamente i bambini: non da lontano, ma con supervisione continua e focalizzata.
- Educare all’acquaticità: i corsi di nuoto non sono un lusso, sono una forma di educazione alla sopravvivenza.
- Installare barriere di sicurezza: porre attorno alle piscine domestiche barriere di sicurezza e coperture protettive.
L’educazione inizia prima ancora di comprare il costume. Non si tratta solo di insegnare a nuotare. Si tratta di costruire una relazione sana e rispettosa con l’acqua. Educare un bambino a stare in acqua non significa soltanto aiutarlo a galleggiare, ma insegnargli che l’acqua non è un gioco qualsiasi. Che esistono regole. Che il divertimento va di pari passo con la consapevolezza. E che mai si entra in acqua da soli.
Per fortuna qualcosa si muove. L’Istituto Superiore di Sanità, insieme a nove Regioni, ha lanciato una campagna informativa rivolta ai genitori, utilizzando un linguaggio accessibile e accattivante, grazie a un video animato con protagonista “Salvo il pesciolino”. Dietro la semplicità apparente, c’è una strategia ben precisa: veicolare messaggi salvavita attraverso strumenti divulgativi efficaci. Una campagna che merita di essere vista, condivisa e — soprattutto — interiorizzata.
L’estate è per tutti, ma la sicurezza prima di tutto. Godersi l’acqua sì, ma con la testa. La sicurezza non è un limite alla libertà, è ciò che la rende possibile. Un’estate senza incidenti non è un’utopia, è un obiettivo raggiungibile. Ma solo se ci prendiamo la responsabilità, come adulti, di non abbassare mai la guardia. Perché un bambino che gioca in acqua deve poterlo fare in sicurezza. Sempre. Senza eccezioni. E senza sconti all’attenzione.