Sotto il sole splendente di maggio, con lo sguardo rivolto all’azzurro del mare ed al magnifico panorama di Pozzuoli che si gode dal Rione Terra, con un occhio al bradisismo, che qui è parte del quotidiano, ci siamo trovati per la dodicesima volta attorno all’associazione Nuova Dicearchia. Ci si è ritrovati per ricordare Lia Di Francia, per parlare di ambiente e salute, ma soprattutto per rompere quel muro di silenzio che da anni avvolge la correlazione tra inquinamento ambientale e malattie oncologiche. E lo si è fatto con la consapevolezza di chi sa che la posta in gioco è altissima: la qualità della vita di tutti noi.
Il premio Dicearchia nasce da un’esperienza personale, lacerante. Lia Di Francia è morta a 43 anni per un cancro metastatico al seno, e da allora la sua famiglia ha trasformato il lutto in una forza propulsiva. Non una commemorazione sterile, ma un’azione continua e militante. La scelta di maggio, il mese della nascita di Lia, non è casuale: coincide, idealmente, con una rinascita, con la volontà di ricostruire un senso là dove la sofferenza ha scavato a fondo.
Oltre alla cerimonia di maggio, ogni anno a settembre viene organizzata anche una messa in ricordo delle vittime dei disastri ambientali. E poi ci sono i dibattiti, le denunce, gli incontri con la magistratura. Un’attività capillare che resiste al disinteresse generale e cerca, con ostinazione, di mettere in discussione l’assuefazione all’ingiustizia ambientale.
L’evento ha anche una valenza formativa riconosciuta dall’Ordine dei Giornalisti, con una scelta intelligente e strategica: inserire il tema della tutela ambientale all’interno del percorso professionale dei comunicatori significa ampliare l’orizzonte dell’informazione, renderla più consapevole, più utile.
Il palco ha ospitato figure istituzionali, come il vice-sindaco di Pozzuoli Filippo Monaco, e giuristi come il giudice Massimo Urbano. Un dialogo tra linguaggi diversi – amministrativo, educativo, giuridico – ma con un comune denominatore: l’urgenza di una presa di responsabilità collettiva.
A dare profondità all’evento, l’intervento di Giovanna Di Francia, sorella di Lia e presidente dell’associazione promotrice. Il suo discorso è stato un colpo al cuore! Ha ricordato con lucidità e senza retorica che parlare di cancro, “porta male” soltanto in una società che non vuole affrontarne le cause. E che tra le cause c’è l’inquinamento delle falde acquifere, lo smaltimento illegale dei rifiuti, l’inerzia delle istituzioni.
Giovanna Di Francia non si è limitata alla denuncia emotiva: ha parlato di esposti in procura, di percolato nelle acque, della raccolta di dati scientifici. Ha tracciato una linea netta tra responsabilità civica e diritto alla salute, smontando pezzo per pezzo la narrazione dell’inevitabilità.
Molto centrato l’intervento del vice-sindaco Filippo Monaco, che, anche in qualità di dirigente scolastico, ha saputo legare l’ambiente all’educazione. “La scuola è la prima casa comune dei nostri figli”, ha detto, ricordando come la cura dell’ambiente inizi dai piccoli gesti quotidiani.
Il vice-sindaco Monaco ha parlato della necessità di radicare nei giovani il senso del bene collettivo. Non è solo una questione di decoro urbano o di pulizia: è una questione culturale, etica, di consapevolezza identitaria.
Uno degli snodi più densi della giornata è stato l’intervento del giudice Massimo Urbano. Con tono pacato e preciso, ha illustrato il cammino normativo che ha portato all’introduzione dei reati ambientali nel codice penale con la legge 68/2015. Ha parlato della “Terra dei Fuochi”, della responsabilità penale degli imprenditori collusi, dell’impotenza dello Stato quando arriva troppo tardi.
Una riflessione particolarmente acuta ha riguardato il ruolo della scuola e delle famiglie come presidi di prevenzione: “Quando interviene il giudice penale – ha detto – è già troppo tardi. Significa che altrove qualcosa non ha funzionato”.
E poi c’era Raiz, la voce che racconta Napoli. Voce storica degli Almamegretta, attore in “Mare Fuori”, ma soprattutto uomo che ha saputo trasformare il dolore privato – la perdita della adorata moglie – in una testimonianza pubblica. La motivazione del premio assegnatogli è limpida: “Hai saputo raccontare emozioni, identità e storie che parlano al cuore di tutti”.
La sua presenza non è stata solo mediatica, ma profondamente politica, nel senso etimologico del termine: espressione di un’appartenenza attiva alla polis, alla comunità.
Uno dei momenti più intensi è stato quando i bambini delle scuole hanno interpretato “Rosa”, canzone iconica di Raiz. Prima di cantarla, l’hanno studiata, tradotta dal napoletano, capita! Un esempio di didattica esperienziale che coniuga arte, cittadinanza e identità. Questo è il punto: fare educazione ambientale non è solo grafici e dati, ma anche con emozioni e cultura.
Il premio Dicearchia 2025, come ogni anno, vuole essere sia un evento che un termometro sociale. Vuole misurare la febbre di una comunità che lotta per non dimenticare, per non accettare l’inaccettabile. Una giornata come quella di Pozzuoli serve a ricordarci che ogni cittadino ha un ruolo nel sistema integrato della tutela ambientale. E che la battaglia per la “casa comune” non è delegabile: ci riguarda tutti e tutti i giorni.