C’è un dettaglio che spesso passa inosservato: circa il 75% delle colture alimentari mondiali dipendono, almeno in parte, dall’impollinazione. Lo dice la FAO, ma basterebbe osservare un frutteto in primavera per rendersi conto del ruolo chiave che svolgono api, bombi o farfalle. Senza di loro, molti dei cibi che mangiamo ogni giorno – frutta, verdura, cereali – semplicemente non esisterebbero. Eppure, negli ultimi decenni, la loro sopravvivenza è minacciata da pesticidi, cambiamenti climatici e perdita di habitat. In questo contesto, le città stanno diventando, contro ogni previsione, dei rifugi.
Lanciato da LifeGate nel 2015, “Bee My Future” non è soltanto un progetto di apicoltura urbana, ma una vera e propria piattaforma di salvaguardia ambientale. Dietro ogni arnia c’è un apicoltore professionista, un disciplinare biologico rigoroso ed un sistema di biomonitoraggio non invasivo che analizza parametri quali umidità, temperatura, peso dell’arnia e perfino il numero di voli giornalieri. E qui i numeri fanno impressione: nei momenti di massima attività, un’arnia può registrare ben oltre 100.000 voli al giorno. Considerando il raggio d’azione di tre chilometri dall’arnia, ogni ape può contribuire ad un’impollinazione su scala urbana non trascurabile.
In dieci anni, Bee My Future ha protetto oltre 13 milioni di api mellifere. Ma soprattutto ha dimostrato che un’altra convivenza con la natura è possibile, perfino tra il cemento delle nostre città.
Chi pensa che le api stiano meglio in campagna, probabilmente non ha mai visto un alveare installato su di un tetto verde o in un parco urbano. Le città moderne offrono alcuni vantaggi inattesi: minore esposizione ai pesticidi, microclimi più stabili, fioriture continue da giardini, balconi e aree verdi pubbliche. In alcuni casi, addirittura, le colonie urbane mostrano tassi di sopravvivenza invernale superiori rispetto a quelle rurali. E questo ribalta una convinzione diffusa, ma ormai superata: si, le api possono prosperare anche tra asfalto e vetrate, a patto che trovino degli habitat adeguati.
Dal 2021 il progetto ha esteso la sua attenzione anche alle api selvatiche, in particolare a quelle “osmie”. A differenza delle mellifere, queste non vivono in colonie né producono miele, ma il loro tasso di impollinazione è straordinario: oltre il 90% di fecondazione dei fiori visitati. Hanno un ciclo di vita brevissimo ed un raggio d’azione di poche decine di metri, ma in termini di biodiversità sono indispensabili. Bee My Future ha installato in Italia centinaia di “bee hotel”, piccole strutture-nido che offrono rifugio sicuro a queste specie.
Ed è interessante notare che questi nidi sono realizzati da “Il Germoglio”, una cooperativa sociale attiva nell’inclusione lavorativa: un esempio virtuoso di economia circolare a impatto positivo.
Attualmente Bee My Future gestisce tre apiari nell’area metropolitana di Milano – a Gorgonzola, Cernusco sul Naviglio e Bussero – affidati all’apicoltore Marco Zucchetti, membro dell’Associazione dei Produttori Apistici della provincia di Milano (APAM). Ma l’impegno non si ferma qui. Oltre 300 bee hotel sono stati distribuiti in diverse regioni italiane, da nord a sud, coinvolgendo comuni, parchi pubblici e cascine didattiche. A supportare l’iniziativa sono anche aziende del calibro di L’Oréal, Whirlpool, Rigoni di Asiago, Cotril, e molte altre. Una dimostrazione concreta che il mondo imprenditoriale può – e deve – fare la sua parte nella tutela ambientale.
Dieci anni sono un traguardo importante, ma anche una base di partenza. Le sfide non mancano: perdita di habitat, cambiamenti climatici, diffusione di patologie apiarie. Ma oggi sappiamo qualcosa di più: che le città possono essere un alleato. L’apicoltura urbana non è solo una pratica agricola, è un dispositivo ambientale, sociale e perfino culturale. Può sensibilizzare, raccogliere dati, coinvolgere comunità scolastiche e cittadine. In fondo, una singola arnia può raccontare molto più di quanto immaginiamo: sulla qualità dell’aria, sulla salute del verde urbano, perfino sulle nostre abitudini di consumo.
Le api non parlano, ma comunicano. Non costruiscono per sé, ma per la collettività. Non sprecano, non inquinano, non pretendono. Insegniamo tanto su di loro, ma forse dovremmo imparare anche da loro. Bee My Future ci ha mostrato che prendersi cura delle api significa prendersi cura di noi stessi, del nostro territorio e del futuro delle prossime generazioni. E se davvero vogliamo essere all’altezza di questa sfida, dovremmo iniziare dalle piccole cose. Magari proprio da un vaso di fiori sul balcone.